domenica 10 aprile 2011

Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare. Mastrocola Paola

Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare. Mastrocola Paola


Questo libro è una battaglia, perché la cultura non abbandoni la nostra vita e prima di ogni altro luogo la nostra scuola, rendendo il futuro di tutti noi un deserto. È anche un atto di accusa alla mia generazione, che ha compiuto alcune scelte disastrose e non manifesta oggi il minimo pentimento. Infine, è la mia personale preghiera ai giovani, perché scelgano loro, in prima persona, la vita che vorranno, ignorando ogni pressione, sociale e soprattutto famigliare. E perché, in un mondo che li vezzeggia, li compatisce, e ne alimenta ogni giorno il vittimismo, essi con un gesto coraggioso e rivoluzionario

si riprendano la libertà di scegliere se studiare o no, sovvertendo tutti gli insopportabili luoghi comuni che da almeno quarant’anni ci governano e ci opprimono.

“Ditemi se le devo ancora insegnare queste cose o no. Forse, se i ragazzi non sanno più l’italiano, vuol dire che la scuola non ha più ritenuto che fosse il caso di insegnare l’italiano. Forse tutti in Italia (o meglio, in Europa) hanno deciso questo: che non è più utile insegnare la propria lingua, e si sono dimenticati di dirlo anche a me, e allora io sono l’ultima a fare una cosa che non interessa più nessuno, e quindi è bene che smetta.

Vi ricordate di quell’ultimo soldato giapponese rimasto a mitragliare per aria, a cui non avevano detto che la Seconda guerra mondiale era finita? Ecco, così”

Paola Mastrocola_Togliamo il disturbo_Guanda


Che roba, professoressa...


fonte: http://www.educationduepuntozero.it/didattica-e-apprendimento/che-roba-professoressa-404865634.shtml

Nata a Torino nel 1956 e insegnante di lettere in un liceo scientifico, Paola Mastrocola aveva già più volte parlato della sua esperienza professionale sia in forma narrativa (“Una barca nel bosco”, 2004) che di pamphlet (“La scuola raccontata al mio cane”, 2004). Torna a occuparsene in un testo di forte polemica, con l’esistente e con le cause che a suo dire l’hanno generato, che al termine della lettura lascia nel lettore scoraggiamento e perplessità.

Cosa sia la scuola la professoressa Mastrocola lo esprime in modo molto preciso già nelle primissime pagine:

“La scuola, lo ridico, è questo: l’insegnante spiega, l’allievo studia, l’insegnante interroga e l’allievo ripete”. (pag. 23)

Sembrerebbe una definizione dettata dal più elementare buon senso. Ciascuno di noi ha, probabilmente, esperienza diretta di una scuola così determinata. Se non fosse che, a ben vedere, qui siamo alla riproposizione di una immagine che fu incisa nel legno a Norimberga, nel diciassettesimo secolo, nella quale si vede un ragazzo con un buco in testa e nel buco è infilato un imbuto. In piedi, accanto a lui, c’è un insegnante che versa nell’imbuto la conoscenza della quale il ragazzo e la sua testa devono essere riempiti.

Dal ‘600 ai tempi nostri è trascorsa, insieme al tempo, un bel po’ di pedagogia. Eppure la professoressa pensa ancora che la scuola sia quel luogo in cui qualcuno – l’insegnante, il depositario del sapere – lo travasa nella testa, evidentemente vuota, di qualcun altro, l’allievo.

E come sono gli allievi, quelli di oggi, quelli che lei vede ogni giorno? Li descrive nella prima parte del libro, già significativamente intitolata: “I Nonstudianti”:

“Ombre, lemuri. Spettrali. Aspettano l’apertura delle porte. Immobili come statue, a grappoli: gruppi marmorei. Se si spostano, è di poco, qualche passetto di lato o in tondo. Sono lenti, laterali o circolari. Sonnambuli”. (pag. 19)

Qui sta il primo nodo inestricabile di un libro che soffre di un fondamentale errore, evidenziato nel sottotitolo. Al contenuto del volume e all’argomentazione delle tesi esposte sarebbe stato, infatti, molto più adatto porre la dichiarazione “Saggio sulla libertà di non insegnare”, perché è questo, in definitiva, ciò di cui si parla.

La professoressa trova che non valga più la pena di insegnare perché – secondo nodo – la società attuale non riconosce più la gerarchia dei saperi, al vertice della quale stanno le materie di cui lei si occupa: la Letteratura (con dovuta “L” maiuscola), sopra di tutto.

Di chi sia la responsabilità ci viene illustrato nella seconda parte: “Breve storia del nonstudio”. L’eccessiva tolleranza lasciata al diffondersi delle opinioni personali (della “doxa” che si contrappone e sembra aver travolto il “logos” depositato come un tesoro intangibile sulle cattedre scolastiche), tanto per cominciare. E poi i cattivi maestri, tra i quali spiccano don Lorenzo Milani (che, con una lettura quantomeno curiosa di “Lettera ad una professoressa”, avrebbe propugnato una scuola orientata alla più totale immobilità sociale) e Gianni Rodari, reo di aver incoraggiato lo scardinamento delle regole grammaticali e ortografiche a fini di scrittura creativa. E poi il Sessantotto (figurarsi se poteva mancare) e la scuola primaria (dell’infanzia ed elementare e media) che non forma a sufficienza ragazzi e ragazze capaci di leggere e scrivere e far di conto e che li porta alle soglie delle superiori costringendo gli insegnanti a ripartire non proprio dalle aste, ma quasi.

Il terzo nodo, quello che fa riflettere maggiormente, è che all’autrice non sembri mai sfiorare il dubbio, nelle 270 pagine del suo saggio, che ci sia qualcosa da rivedere nei contenuti e nei metodi di insegnamento. Tanto che, nella terza parte, “Lo studio come scelta” giunge alla definizione di alcune proposte pratiche che si possono ridurre a questa: una scuola di alto livello per quel dieci per cento di studenti volonterosi e, per il resto, scuole che preparino a mestieri e professioni, celebrati qua e là in tono persino elegiaco, ma certamente di minor prestigio e affermazione.

Quando si arriva a scrivere, come l’autrice, che:

“... può essere che una persona si alzi al mattino felice di andare a costruire una scala nel cantiere edile dove lavora...” (pag. 210),

bisognerebbe almeno specificare se l’entusiasta lavoratore sia l’architetto che parte verso le undici dal suo studio per andare a controllare l’esecuzione di un progetto pagato fior di soldoni o il manovale dell’Est d’Europa, magari impiegato in nero da una ditta in subappalto, che sulle impalcature ci sta dalle sei del mattino.

Però, verso la fine, l’autrice ci fa partecipi della sua infanzia, raccontandoci che:

“Io per esempio a sei anni volevo fare il muratore, perché davanti a me costruivano un enorme condominio e io m’incantavo per ore a guardare, dal balcone di casa mia al quinto piano, i muratori che facevano il cemento, e che con la calce e i mattoni tiravano su i muri. Un vero spettacolo!” (pag. 253),

(e allora qui non siamo più in un saggio, ma nella memorialistica colorata della rosa rimembranza).

Tuttavia, per non lasciare solo la pars destruens a un libro che ha almeno il merito di mostrarci l’esistenza, dietro una patina di condiscendente democraticismo, di insegnanti ancora assurti sul loro piedistallo, ci permettiamo, con tutta l’improntitudine del caso e a perenne difesa dei non studianti, una modesta proposta construens.

Il terzo paragrafo – capitolo uno, terza parte – del libro di Paola Mastrocola si intitola “Carlo Martello”. Vi si propone una lettura dell’VIII canto del Paradiso dantesco, al fine di dimostrare la tesi che compito della scuola è quello di aiutare gli individui a scoprire la propria vocazione – sia essa quella del falegname o del filosofo – e a perseguirne il raggiungimento per giusti percorsi.

In molte pagine precedenti l’autrice aveva lamentato l’impossibilità pratica di proporre la grande letteratura ai suoi studenti, distratti da un’esistenza consumistica e incapaci di concentrazione perché troppo abituati agli schermi digitali e al multitasking.

Provi una volta, almeno per curiosità, a sperimentare un percorso diverso. Apra il giornale, o l’iPad, come meglio crede. Riprenda una qualsiasi notizia che in questi tempi tristi – in cui gli adulti danno tutto men che il buon esempio – si leggono sulle signorine prezzolate a fini di compagnia non platonica con i potenti di turno. Accompagni la riflessione sulla professione delle stesse con l’ascolto della celeberrima “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”, scritta nel 1963 da Fabrizio De Andrè e Paolo Villaggio. A quel punto, si riporti all’immenso magistero dantesco.

Da Ruby Rubacuori al Paradiso, via Faber. Ci si può arrivare. Provi. Si accorgerà, forse, di aver risvegliato attenzione e partecipazione dei “sonnambuli”.




Considerazioni personali, già dissentivo da molte dei concetti espressi in "Palline di pane pur apprezzando che nel bene o nel male fa ragionare, ma dall'ultimo libro dissento davvero in quasi tutti quello che ho letto fino ad ora, non avendo finito il libro, (che finirò per principio).
Per linea di principi sono d'accordo con Ridofi autore di Che roba professoressa, la scuola come quella che crea la professoressa Mastrocola, si basa su concetti arcaici, non che studiare Dante, Leopardi, e via dicendo
sia arcaico, molti degli scrittori aiutano a comprendere quello che succede attorno di noi ora, ma per avvicinarsi a quegli scrittori di conseguenza al loro pensiero bisogna fargli capire quant'è importante,
per fargli capire com'è importante basta come suggeriva Ridofi avvicinarli tramite personaggi amati dai ragazzi
come De Andrè. De Andrè, non ha mai scritto nulla a caso, ha avuto una formazione classica, se i ragazzi
capissero quanto sia importante la formazione classica, per arrivare a comprendere il pensiero di grandi come Fabrizio, probabilmente studierebbero con la voglia di farlo.
Certo anche la professoressa dovrà "studiare" il metodo per arrivare Da De Andrè alla formazione classica e viceversa, ma fa parte del suo lavoro, aggiornarsi. Per cui su professoressa al forza lavoro...per una scuola in cui i ragazzi abbiano voglia di entrare e partecipare 

un  suggerimento per il suo studio... Simone Giusti, Insegnare con la letteratura, Zanichelli, 2011
legga e impari

Una sposa conveniente, di Elsa Chabrol

Una sposa conveniente, di Elsa Chabrol




Nel paese di Pouligeac, abitato da 9 anime in tutto (e tutti over 70) gli abitanti sono disperati, perchè il giovane Pierrot detto il Piccinino (47 anni suonati, un marcantonio alto un metro e ottantacinque per novantasette chili di bonomia) dopo la morte dell’amata madre Paulette ha deciso che vuole cambiare aria. Vuole partire, trovare una donna e metter su famiglia.

Una tragedia che rischia di sconvolgere l’esistenza di tutti (soprattutto perchè Pierrot è l’unico a possedere un’automobile ‘e soprattutto, a essere in condizione di guidarla’). Il paesino è talmente piccolo che bisogna fare sedici chilometri solo per avere uno yogurt, e poi Pierrot è insostituibile, perchè ‘passa le giornate a riparare di tutto, installare di tutto, il solo della sua generazione ad essere rimasto lì’.

I vecchietti non si perdono d’animo: la soluzione è trovargli una donna che venga ad abitare a Pouligeac.


http://www.elsachabrol.com/

Palline di Pane di Paola Mastrocola

Palline di Pane di Paola Mastrocola



Agosto. Emilia, fotografa quarantenne, parte per le vacanze in Sardegna. Un marito in India per lavoro, una bambina di sei mesi che patisce il mare, un figlio undicenne che, fortemente determinato a isolarsi dall'"umanità coetanea" per rivendicare il diritto a una felicità tutta sua, passa il tempo a pescare e fabbricarsi le esche impastando palline di pane. L'unico aiuto potrebbe essere la nuova baby-sitter: ma è un'enigmatica ragazza portoghese che non sa una parola di italiano e si porta dietro un'inverosimile macchina da cucire a pedali. La vacanza inizia e dà vita a una serie di situazioni buffe e di reazioni imprevedibili, che s'insinuano tra le chiacchiere in spiaggia e scardinano certezze e opinioni comuni e conformiste...

http://it.wikipedia.org/wiki/Paola_Mastrocola

Bambini del silenzio di Torey L. Hayden

Bambini del silenzio di Torey L. Hayden



Risvolto di copertina.

Che cos'hanno in comune un bambino di quattro anni biondo e sorridente, figlio e nipote amatissimo di una ricca famiglia, e una bambina di nove anni in cura in ospedale psichiatrico perché chiaramente disturbata in seguito a terribili abusi? Solo una cosa: la maestra dei miracoli che si trova a occuparsi di entrambi nello stesso periodo. Ma come sempre l'apparenza inganna e anche nella famiglia più privilegiata si possono nascondere terribili segreti, così come anche nella situazione più disperata c'è spazio per speranza e riscatto.


Come la maggior parte dei libri di Torey Hayden è un libro duro ma che da speranza e la consapevolezza che una soluzione c'è sempre.

Memorie di una geisha di Golden Arthur

Memorie di una geisha di Golden Arthur

Trama

Circondate da un'aura romantica e misteriosa, le geishe hanno spesso esercitato sugli occidentali un'attrazione quasi irresistibile, amplificata dalle leggende che circondano la loro esistenza. Come e perché si diventa geishe? In quale modo le fanciulle vengono istruite? Quali sono i rituali e le "abilità" da apprendere? A queste domande risponde il racconto in prima persona di una geisha, Sayuri, attraverso le complesse, affascinanti tradizioni giapponesi e l'intima essenza, il significato più profondo, nel bene e nel male della vita della geisha. E benché Sayuri racconti la sua storia con la pacata saggezza di chi ha ormai percorso gran parte della vita, la sua voce tesse una trama precisa e vivida, permettendo di entrare in un universo al contempo splendido e crudele.

è l'ultimo libro che ho iniziato a leggere proprio ieri di cui esiste una versione cinematografica

http://it.wikipedia.org/wiki/Memorie_di ... a_(romanzo)

http://it.wikipedia.org/wiki/Memorie_di ... isha_(film)

prima di leggere il libro ho cercato qualche informazione che mi aiutasse a comprendere meglio questo mondo

http://it.wikipedia.org/wiki/Geisha

Interessante è la controversia legale nata tra Mineko Iwasaki, famosa geisha con cui lui ha lavorato e che ha denunciato l'autore per diffamazione e violazione del contratto in quanto avrebbe dovuto mantenere l'anonimato totale e invece, il suo nome ed il suo contributo sono chiaramente citati nei ringraziamenti a fondo libro.
Tale condizione contrattuale era dovuta all'esistenza di un tacito accordo nella comunità delle geishe sulla riservatezza e la sua violazione è considerata un'offesa seria. Oltretutto, Iwasaki afferma che il romanzo di Golden ritraeva le geishe come prostitute d'élite. Ad esempio, nel romanzo la verginità di Sayuri viene svenduta al miglior offerente, un concetto che ha particolarmente offeso Iwasaki. Lei affermò che non solo questo non le era mai successo, ma che non esisteva assolutamente una tale pratica a Gion. Basando il suo personaggio, Sayuri, su Iwasaki e implicando che lei stessa era una prostituta, Iwasaki afferma che Golden ha violato il suo accordo e causato grande disonore ed onta a lei ed al mondo delle geishe. Dopo che il suo nome fu stampato sul libro, Iwasaki ha ricevuto numerose minacce di morte e richieste di censura per aver disonorato la sua professione. Nel 2003, la Iwasaki e la casa editrice di Golden sono giunti ad un accordo extragiudiziale per una somma di denaro il cui ammontare non è stato reso pubblico

Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, di Fabio Geda

Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari, di Fabio Geda



Una storia vera, il protagonista, colui che in prima persona racconta la sua storia, è un ragazzo afghano che oggi vive a Torino e che, per essere salvato, è stato "abbandonato" dalla madre...
Ma cominciamo dall'inizio, altrimenti la storia può essere incomprensibile. Enaiatollah inizia con il racconto della mattina in cui (ha probabilmente dieci anni) si ritrova da solo in Pakistan dove era stato portato, tra mille difficoltà, dalla madre.
Il padre era stato derubato e ucciso da dei banditi e la cosa aveva provocato nei pashtun, che erano i proprietari delle merci che gli erano state rubate, un desiderio di vendetta o meglio di risarcimento per il danno subito: prendere come schiavo un figlio di quell'uomo era un buon risarcimento. L'etnia a cui Enaiatollah appartiene è quella hazara, disprezzata sia dai talebani che dai pashtun, e sua madre non aveva nessuna possibilità di evitargli quella fine disperata se non portarlo lontano dall'Afghanistan.

Inizia così una terribile odissea per quel bambino che si ritrova solo senza denaro e senza neppure la minima idea di che cosa poter fare, se non la voglia disperata di vivere e di mantenere fede ai tre insegnamenti che la madre, prima di tornare in Afghanista dagli altri figli, gli aveva dato come regola di vita: non fare mai uso di droghe, non usare armi per colpire un altro essere umano, non rubare ma guadagnarsi da vivere lavorando. Regole che un bambino di dieci anni promette di mantenere e che, nonostante le terribili difficoltà che dovrà superare, Enaiatollah osserverà sempre.
Ci sono dei ricordi terribili nella mente di quel ragazzino frutto della violenza che lo ha circondato nel suo Paese e che ha potuto vedere con i suoi occhi, così come quando ha visto uccidere dai talebani il suo maestro colpevole solo di non aver voluto chiudere la scuola. Ma in lui non c'è scoramento quanto desiderio di farcela, di iniziare una nuova vita, facendo i lavori più umili e faticosi, sempre con il sorriso sulle labbra e riconoscenza per coloro che gli davano un giaciglio o un po' di cibo .
Iniziano per lui anche dei rapporti d'amicizia con altri bambini hazara anche loro soli, anche loro costretti a vivere lavorando. Alla ricerca di una situazione migliore eccolo andarsene dal Pakistan e raggiungere in modo rocambolesco l'Iran dove aveva sentito dire esserci più possibilità di lavoro. Fin dall'inizio del libro sentiamo parlare di trafficanti di uomini, persone che si fanno dare dei soldi (moltissimi per quei disperati) per trasportare le persone da uno Stato a un altro. È una realtà dolorosa, ma diffusa e nasce dalle leggi restrittive che impediscono la libera circolazione degli uomini (non delle merci!!) nel mondo. Il risultato è che le persone attraversano ugualmente i confini con molti rischi per la loro vita e dando tutto il denaro che hanno ai trafficanti.

In Iran lo aspetta il pesante lavoro in un cantiere in compagnia di altri muratori tutti clandestini come lui e tutti gentili con lui. Il posto di lavoro diventa la sua casa e la sua prigione perché nessuno usciva da lì per paura di essere preso dalla polizia, facevano i turni solo per andare a prendere da mangiare. Varie vicissitudini e la violenza delle istituzioni, le botte prese dai poliziotti, scene terribili che vedremo ripetersi in tutti i paesi che Enaiatollah dovrà attraversare per cercare uno spazio in cui vivere.
Non bisogna mai dimenticare che quella che viene raccontata in questo libro è una storia vera e che il protagonista è un bambino, e che le prove che affronta sono così drammatiche che solo alcuni riescono a superarle. Dall'Iran alla Turchia, passaggi compiuti con i mezzi più disparati e con il duplice rischio di essere scoperto e rimandato indietro e di perdere la vita. Poi dalla Turchia il difficilissimo passaggio in Grecia: qui la morte è stata davvero vicina e alcuni bambini, compagni di una terribile traversata su di un gommone, la morte l'hanno incontrata.

Se le istituzioni si sono sempre dimostrate ostili, alcune persone hanno invece avuto umanità nei confronti di questo ragazzino educato, spaurito e terribilmente solo. Sono proprio questi pochi, ma fondamentali incontri che hanno permesso a Enaiatollah di arrivare finalmente a Torino, trovare una splendida famiglia che lo ha preso in affido e infine capire che era il momento di fermarsi e di costruirsi un futuro. Colpisce il lettore tutto l'iter per ottenere il permesso di soggiorno come rifugiato politico, il fatto che ad alcuni (parliamo di ragazzi che arrivano dall'inferno dell'Afghanistan!!) sia negato sembra una vera crudeltà nei confronti di chi di crudeltà ne ha subite anche troppe. Ma la storia che Fabio Geda ha felicemente deciso di trascrivere (pochi e corretti i suoi interventi/domande) è fortunatamente a lieto fine. Ora quel bambino ha (forse) 21 anni, è inserito, studia, ha un lavoro, ha amici e una vita. Quanti possono dire la stessa cosa? quanti sono invece spariti nei doppifondi di un camion, congelati sulle montagne che tentavano di attraversare, o ingoiati dal mare? Ci sentiamo sereni per la vittoria di uno o dobbiamo vergognarci per la sconfitta (che significa quasi sempre morte) di tanti?
Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.

Il gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach.



Il gabbiano Jonathan Livingston (Jonathan Livingston Seagull, 1973) è un celebre romanzo breve di Richard Bach.

Il gabbiano Jonathan Livingston (Jonathan Livingston Seagull, 1973) è un celebre romanzo breve di Richard Bach. Best seller in molti paesi del mondo negli anni settanta, è diventato per molti un vero e proprio cult, Jonathan Livingston è essenzialmente una fiaba a contenuto morale e spirituale. La metafora principale del libro, ovvero il percorso di autoperfezionamento del gabbiano che impara a volare/vivere attraverso l'abnegazione e il sacrificio, è stata letta da diverse generazioni secondo diverse prospettive ideologiche, dal cattolicesimo al pensiero positivo, l'anarchismo cristiano e la New Age. Bach disse che la storia era ispirata da un pilota acrobatico di nome John H. "Johnny" Livingston (Cedar Falls, Iowa, 30 novembre 1897 - 30 giugno 1974), particolarmente attivo nel periodo fra gli anni venti e trenta.


Jonathan è un gabbiano diverso dagli altri: il suo desiderio non è mangiare, ma imparare a volare in modo perfetto. Per questo è rimproverato dai suoi genitori ed escluso dagli altri componenti del suo stormo, lo Stormo Buonappetito, in quanto nessuno capisce la sua passione per il volo, dal momento che volare è considerato soltanto come una comodità per procurarsi il cibo. Nonostante la buona volontà di Jonathan per cercare di essere un gabbiano come tutti gli altri e di non dedicarsi più alla sua passione, il suo desiderio di trovare il volo perfetto è più forte di lui e in poco tempo riesce a compiere acrobazie incredibili, mai compiute da nessun altro volatile. Ma lo Stormo non lo accetta.
Abbandonato e solo, Jonathan trascorre diversi anni ad esercitarsi nel volo finché un giorno, dopo essere morto (o meglio: dopo essere passato ad un livello successivo dopo la morte), lo raggiungono due gabbiani dalle piume candide, che si librano nell’aria con lui. Questi lo convincono a seguirli nel "Paradiso dei Gabbiani", un luogo dove potrà volare con più facilità, e tutto quello che aveva appreso sarebbe stata una piccolissima parte del cammino verso la perfezione. Jonathan accetta, diventando anche lui bianco e splendente come i suoi nuovi compagni. Per diversi anni rimane nel Paradiso dei Gabbiani sotto la guida di Sullivan, suo maestro ed amico.
È lo stesso Sullivan, insieme ad altri gabbiani, a spiegargli che quello non è il vero Paradiso, ma solo un livello transitorio, dopo il quale si passa più in alto ancora, fino a raggiungere la perfezione e che tutti, prima o poi, saliranno di piano in piano. Quando finalmente raggiunge i livelli del suo maestro, si accorge che - nonostante tutto ciò che ha imparato - il suo corpo gli è ancora d'intralcio. Così chiede al gabbiano più anziano, Ciang, di insegnargli a volare alla velocità del pensiero, a superare il "qui ed ora", cosa che soltanto Ciang sa fare.
Dopo molti tentativi, Jonathan riesce nel suo impegno, ma poche settimane dopo Ciang muore e viene portato in un Paradiso superiore. Egli lascia il posto di maestro a Jonathan: non basta allenarsi al volo perfetto, il vero scopo è arrivare a capire il segreto della bontà e dell'amore, ovvero la cosa più difficile da mettere in pratica. Rimasto senza guida, Jonathan tormentato dal desiderio di insegnare al resto dei gabbiani dello Stormo Buonappetito tutto ciò che ha appreso, confessa a Sullivan i suoi pensieri, ma questo lo convince ad aiutarlo nella sua attività di addestramento dei nuovi arrivati. Qualche tempo dopo, torna il desiderio di andare ad insegnare allo stormo Buonappetito: così saluta Sullivan e parte per ritornare al suo luogo di origine, dove trova un giovane: Fletcher Lynd, che diventa suo alievo .poi torna allo stormo con altri 8 gabbiani .Ma anche se loro non vennero accettati dallo Stormo continuarono ad allenarsi.

La casa degli spiriti Isabel Allende

La casa degli spiriti Isabel Allende


La casa degli spiriti (titolo originale La casa de los espíritus) è il primo romanzo di Isabel Allende, scritto nel 1982 e pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 1983. Esso è anche considerato come il terzo volume di un'ideale trilogia formata da altri due romanzi di Isabel Allende, scritti però successivamente: La figlia della fortuna e Ritratto in seppia.
Da questo romanzo è stato tratto l'omonimo film.


La trama

Esteban Trueba si innamora della bella ed eterea Rosa del Valle: egli decide dunque di lavorare duramente allo scopo di accumulare la ricchezza necessaria per prenderla in sposa, ma la ragazza muore prematuramente. L’uomo si trasferisce nella sua tenuta di campagna, che riporta in auge dopo anni di decadenza. Lì, però, sente la mancanza dell’amore. Chiede la mano di Clara del Valle, la quale accettando la proposta rompe il silenzio di diversi anni di mutismo volontario. Con loro va a vivere Férula Trueba, sorella di Esteban, la quale instaura una solida amicizia con Clara. Quest'ultima dà alla luce Blanca, ma dopo alcuni anni il padre la manda in collegio per farle avere un'educazione consona al suo status sociale.dopo alcuni anni Blanca torna a casa dove sfida l’autorità del padre innamorandosi del ribelle Pedro Terzo García. Dall’unione nasce una figlia, Alba. Esteban Trueba, con la sua mentalità all’antica, è quindi deluso dal comportamento di sua figlia. La sua delusione però, si risolleva quando Blanca dà alla luce Alba, alla quale, Esteban dedicherà molto affetto, specie dopo la morte di Clara . Questi sono però gli anni del colpo di stato. A causa della relazione con il rivoluzionario Miguel, Alba viene arrestata e maltrattata, poiché i militari vogliono sapere dove si nasconda il suo amante. Esteban Trueba riesce a liberarla, grazie alla sua amicizia con Tránsito Soto. Blanca e Pedro Terzo García vengono spediti al sicuro in Canada. Alba, infine, scopre i vecchi quaderni dove sua nonna Clara annotava minuziosamente la sua vita. Esteban Trueba, sul punto di morte, verrà salutato dal fantasma di Clara.


Personaggi

Nivea del Valle
Severo del Valle
Rosa del Valle
Clara del Valle
Barrabás
Esteban Trueba
Férula Trueba
Blanca Trueba
Jaime Trueba
Nicolás Trueba
Alba Trueba
Pedro García
Pedro Secondo García
Pedro Terzo García
Pancha García
Esteban García
Conte Jean de Satigny
Amanda
Miguel
Nana
Ana Díaz
Tránsito Soto


Quello in questione è un esempio di roman à clef, che si occupa di descrivere eventi effettivamente accaduti nella storia, celandoli dietro una facciata di finzione: esiste uno sfondo, geografico ma soprattutto storico, ben definito, chiaro e preciso, dinanzi al quale si sviluppano gli eventi della fabula nell'ordine dell'intreccio. Se si crede che ogni evento della fabula corrisponda ad un evento della storia reale, allora è possibile far corrispondere a quei personaggi del romanzo rimasti innominati, vale a dire il Poeta e il Presidente, figure che ricordano rispettivamente Pablo Neruda e Salvador Allende. Notevole è inoltre nel libro la presenza di elementi di realismo soprannaturale, come gli spiriti, da cui il titolo.
Con La casa degli spiriti la Allende si è affermata come una delle più importanti voci della letteratura sudamericana; il libro è una commistione tra realtà e fantasia, tra esoterismo e razionalità; la prosaicità di alcuni tra i personaggi principali, come Esteban Trueba, non ha nulla a che vedere con la chiaroveggenza di Clara Del Valle, immersa in un mondo parallelo, di figure luminose, di mutismi, di spiriti, di visioni. Clara emana una luce che va al di là dell'umana comprensione, e questa luce si estende anche fuori dalla carta, la quale rappresenta solamente un veicolo tra questa storia e il lettore, tra il mondo reale e la casa degli spiriti. È indubbiamente un romanzo di importante peso politico che riesce a descrivere, attraverso un linguaggio semplice, che a volte potrebbe apparire crudo, la realtà del genere umano, analizzando sia gli angoli più sensibili dell'animo, che quelli più spietati, descrivendo il dolore, le passioni, il male, la dittatura, come un vortice travolgente, che spinge il lettore a proiettarsi in un altro mondo, il mondo di Clara, di Alba, della Grande casa dell'angolo e di queste meravigliose figure femminili che ne fanno da cornice. Con assoluta fermezza l'autrice, vuol sottolineare come il Cile è stato piegato in due, dalla pericolosa piaga che fino a poco tempo fa lo affliggeva. Colpisce il modo in cui viene raccontata la realtà senza giri di parole né contorni felici.
La foresta dei girasoli di Torey L. Hayden

Torey Hayden è una delle mie scrittrici preferite, ho letto molti dei suoi libri, praticamente tutti quelli che ho trovato sia in biblioteca che in vendita, non tutti ma qualsiasi volta io mi fermi in una libreria cerco gli altri, solitamente racconta storie vere ha scritto però anche un paio di romanzi
Ieri ho trovato all'Iper La foresta dei girasoli l'ultimo dei suoi romanzi edito da Corbaccio
appena ho finito di leggere Una sposa conveniente di Elsa Chabrol inizierò a leggere il libro della Hayden, e vi dirò le mie impressioni



http://www.torey-hayden.com/italia/sunflower_forest-it.htm


Lesley, diciassette anni, adora Mara, la sua bellissima e affascinante madre, che le racconta storie incredibili sulla vita in Germania e Ungheria prima e durante la guerra. Ma c’è una verità sul suo passato che Mara non riesce a confessare, e che sta diventando una pericolosa ossessione. Lesley fa di tutto per cercare di comprendere i comportamenti sempre più strani della madre, così come suo padre cerca disperatamente di salvare la moglie dai suoi ricordi. Ma a volte l’amore non sembra essere abbastanza per evitare la tragedia, e Lesley, di fronte a una vita famigliare distrutta, decide di partire, per andare lontano, nel paese dove Mara era felice, alla ricerca della verità...
Torey Hayden dà voce agli sforzi disperati di una ragazza per diventare adulta all’ombra degli incubi della madre e del suo passato. Un romanzo dove thriller psicologico e dramma familiare si uniscono in un racconto avvolgente, malinconico ed evocativo che cattura l’essenza stessa di una famiglia investita dal dolore.