venerdì 26 febbraio 2010
Drusilla Tanzi e Montale
Montale conosce Drusilla Tanzi nel1929, quando viene nominato direttore del Gabinetto G.P. Vieusseux (nota istituzione culturale fiorentina ), lei era sposata con il critico d'arte Matteo Marangoni, ma diviene ben presto la sua compagna. Durante la loro relazione Montale conoscerà e frequenterà altre donne (Irma Brandeis e Maria Luisa Spaziani ) alle quali dedicherà alcuni suoi versi, ma la relazione con Drusilla tanzi non sarà mai interrotta. Si sposano nel 1962 e lei muore l'anno seguente.Dopo la sua morte le dedicherà la poesia " Ho sceso dandoti il braccio,almeno un milione di scale"
Eugenio Montale, "Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale"
La poesia appartiene alla sezione "Xenia" della raccolta "Satura", edita nel 1971 ma comprendente poesie scritte nell’arco di tempo che va dal 1956 a tutti gli anni sessanta, occasionate nella gran parte dal ricordo della moglie Drusilla Tanzi, cui sono dedicati appunto gli "Xenia", letteralmente doni fatti agli ospiti che partono. Montale compie, con questa raccolta, un passaggio che lo porta a superare, ma non a rinnegare, l’esperienza precedente, per assumere un tono colloquiale, prosastico, apparentemente più dimesso e con una larga disponibilità verso l’ironia pungente, la parodia, talvolta la polemica. Una disponibilità comunicativa tout court che non disdegna di prendere parte, con un notevole scarto rispetto all’atteggiamento tenuto da Montale verso la "storia" e il mondo esterno, anche a temi contemporanei, facendo riferimenti talora velati talaltra espliciti, a fatti di attualità, dispute, personaggi del mondo intellettuale o politico.
Il titolo stesso della raccolta, che rinvia ad un genere dal forte valore metastorico, è indicativo in tal senso: e qui andranno messi in evidenza, come elementi che accomunano la ricerca montaliana alla tradizione, il carattere autobiografico e la varietà dei temi trattati, l’attitudine soggettiva con cui sono trattati, la maggiore libertà delle soluzioni formali e metriche adottate, soluzioni che pure continano ad operare, quasi a riaffermare, a dispetto dell’impressione superficiale che si può trarre dalla lettura, la riaffermazione della poesia sulla prosa, una poesia i cui artifici, ridotti all’essenziale, sono "celati", come nella poesia "Ho sceso, dandoti il braccio".
In una struttura metrica sostanzialmente libera, formata per la gran parte da versi lunghi, tipici di uno stile discorsivo, e con due sole rime (quella dei vv. 6-7 "crede / vede" e quella dei vv. 10-12 "due / tue"), poste tuttavia entrambe in fine di strofa, la poesia, divisibile in due parti segnate dalla ripresa, con leggera modifica, dello stesso incipit ("Ho sceso..."), si caratterizza prima di tutto per la forte valenza della sua tessitura lessicale, incentrata in particolare sui campi semantici relativi al "viaggio" e al "vedere".
Il viaggio, o per estensione, il cammino si snoda attraverso tre diversi passaggi. Si tratta di un viaggio che il poeta immagina di avere compiuto, con il sostegno della moglie ("dandoti il braccio") attraverso "un milione di scale", metafora della vita. Un viaggio che, con efficace contrasto ossimorico, è stato breve nonostante i tanti gradini: "è stato breve / il nostro lungo viaggio". Questi primi quattro versi celano un parallelismo presenza/assenza, giocato su un rimando dall’asserzione iniziale, metaforica, dove al "dandoti il braccio" segue il "vuoto ad ogni gradino", all’asserzione esplicita dei vv. 3-4: "il nostro... viaggio / il mio dura tuttora". Questo paralellismo ne contiene un altro tra un prima e un dopo che trova la sua esplicitazione nel doppio passaggio dal passato prossimo al presente ("Ho sceso... / ... è", "è stato... / ...dura"). Al viaggio che il poeta compie nel presente non occorrono più coincidenze o prenotazioni. Qui si allude ad un tratto significativo del rapporto con la moglie scomparsa, che trova riscontro in molti degli "Xenia", dove Drusilla Tanzi è affettuosamente ritratta come una donna premurosa, dotata di senso pratico e capace di quel sereno rapporto con il mondo esterno (e gli Xenia sono, in questo senso, una galleria di personaggi che la moglie avrebbe accolto in virtù di questa sua maggiore disponibilità: Celia la filippina, il signor Capp, le telefoniste del Saint James), che permetteva a Montale di non sentirsi spaesato di fronte a quelle che subito dopo chiama "le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede", con un significativo passaggio dal concreto all’astratto, da un tono discorsivo ad uno più riflessivo, passaggio sottolineato anche dalla struttura dei versi: dalla dilatazione del v. 5, formato da due sole parole lunghe, si salta alla concentrazione dei vv. 6-7, dove il ritmo è dato dalla presenza di parole più brevi, anche monosillabiche e dalla rima perfetta "crede / vede".
Il tema del vedere, anch’esso presente negli "Xenia", in particolare nel componimento dove Montale immagina un incontro "metafisico" mancato con la moglie, che non può vederlo perché non ha occhiali, che ha un ironico contrappunto qui nel "sebben tanto offuscate" del v. 11, è strettamente connesso a quello del viaggio: il "braccio" altro non è che quella "vista" che permette al poeta di scendere le scale, come esemplificato nella seconda parte della poesia.
Qui domina un accumulo lessicale relativo ai campi semantici del vedere e dello scendere: l’atto di vedere è successivamente espresso con "occhi", "vede", "pupille... offuscate"; l’atto di scendere ("Ho sceso... / le ho scese") ricorre ai vv. 8 e 10. A livello sintattico, l’andamento ipotattico, che contempla due proposizioni causali di cui una negativa ("non già perché...") e una concessiva, ha un esito prosaico che contrasta con la linearità della prima parte, basata sulla giustapposizione di elementi e sulla coordinazione. Tale esito è però contraddetto dal senario finale, "erano le tue", che cade come una sentenza spezzando il ritmo dei versi precedenti.
"Ho sceso, dandoti il braccio", non diversamente dagli altri componimenti che fanno parte della raccolta "Satura", è una poesia malinconica e leggera al tempo stesso. Il suo tono dimesso non cade mai nella retorica, così come il tono ironico di certi passaggi non scade mai nel frivolo, non diventa mai parodia. Il personaggio di "mosca", il caro piccolo insetto della prima poesia degli "Xenia", è una presenza calda e affettuosa, ma non ha nulla di ideale né di trascendente, eppure non perde nulla della sua forza lirica nell’accostamento a oggetti e situazioni di tipo quotidiano. L’ironia di Montale agisce, a ben vedere, in profondità, con uno scarto appena accennato dal discorso che ne ribalta, inaspettatamente, l’apparente assertività: è così per la chiusura della prima strofa dove improvvisamente i piccoli gesti quotidiani della donna, quelli che riempiono di senso la discesa di un milione di scale diventano trappole, scorni, sono ricondotti a una mentalità che ritiene la realtà di tali gesti l’unica possibile. Lo stesso si può dire di due punti della seconda strofa: il "forse" del v. 9, che limita l’enunciato "con quattr’occhi... si vede di più" è a sua volta inserito in una frase che sembra essa stessa una preterizione, un negare per affermare; il "sebbene tanto offuscate" limita la sentenziosità dell’ultima asserzione.
http://it.wikipedia.org/wiki/Eugenio_Montale#Xenia_e_Satura
Le poesie della raccolta Xenia I sono Caro piccolo insetto... Senza occhiali ne antenne... A Saint James di Parigi dovrò chiedere... Avevamo studiato per l'aldilà un fischio... Non ho mai capito se io fossi... Non hai pensato mai di lasciare traccia...
Pietà di sè infinita pena e angoscia.. La tua parola così stenta e imprudente... Ascoltare era il tuo solo modo di vedere... Pregava? Sì pregava Sant'Antonio... Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio)... La primavera sbuca con il suo passo da talpa... Tuo fratello morì così giovane, tu eri.. Dicono che la mia... Xenia II La tua morte non ti riguardava... Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale Spesso ti ricordavi (io poco) del signor Cap...
Il vinattiere ti versava un poco... Con astuzia... L'abbiamo rimpianto a lungo l'infila scarpe... Non sono mai stato certo di essere al mondo.. E il Paradiso? Esiste un paradiso? Le monache, le vedove, mortifere... Dopo lunghe ricerche..
Riemersa da un'infinità di tempo.. I falchi... Ho appeso nella mia stanza il dragherrotipo... L'alluvione ha sommerso il palk dei mobili...
giovedì 25 febbraio 2010
Leone Ginzburg
Leone Ginzburg (marito di Natalia)
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Leone Ginzburg (Odessa, 4 aprile 1909 – Roma, 5 febbraio 1944) è stato un letterato e antifascista italiano, uno dei principali animatori dellacultura italiana negli anni trenta.
Biografia [modifica]
Di famiglia ebraica, e di origine ucraina, frequentò in un primo momento il liceo classico "Massimo d'Azeglio", a Torino, dove conobbe Vittorio Foa.
Dopo la maturità al Liceo Classico Vincenzo Gioberti di Torino, fu studioso e docente di letteratura russa, partecipò allo storico gruppo di intellettuali di area socialista e radical-liberale (tra gli altri, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Cesare Pavese, Carlo Levi, Elio Vittorini, Massimo Mila, Luigi Salvatorelli) che collaborarono alla nascita a Torino della casa editrice Einaudi.
In campo politico fu un federalista convinto, attivo antifascista, tra i fondatori del movimento "Giustizia e Libertà". Fu per questo arrestato nel1934 e condannato a quattro anni di carcere. Rilasciato nel 1936 in seguito a un'amnistia, proseguì la sua attività letteraria e di antifascista.
Nel 1938 sposò Natalia Ginzburg, dalla quale ebbe tre figli: Carlo, poi divenuto noto storico, Andrea, economista, e Alessandra, psicanalista.
Nel 1940 fu condannato al confino politico in Abruzzo.
Liberato nel 1943 alla caduta nel fascismo, si spostò a Roma dove fu uno degli animatori della Resistenza nella capitale. Nuovamente catturato e incarcerato a Regina Coeli, dove fu torturato dai tedeschi perché si rifiutò di collaborare. Morì in carcere, in conseguenza delle torture subite, nel febbraio 1944.
Saranno pubblicati postumi la raccolta di saggi Scrittori russi nel 1948 e il volume di Scritti nel 1964.
Giuseppe Levi (padre di Natalia)
Giuseppe Levi (padre di Natalia)
Giuseppe Levi (Trieste, 14 ottobre 1872 – Torino, 1965) è stato uno scienziato, medico e anatomista italiano.
Giuseppe Levi nacque in una famiglia di banchieri ebrei, da Michele e Antonia Parente.
La formazione
Alla morte del padre l'intera famiglia si trasferì a Firenze ove egli ebbe modo di frequentare la Facoltà di Medicina, presso la quale fu allievo di Alessandro Lustig, microbiologo di origine triestina, direttore dell'Istituto di Patologia generale.
Laureatosi nel 1895, iniziò a dedicarsi ad attività di ricerca presso il locale Istituto di Anatomia umana diretto da Giulio Chiarugi, focalizzando la propria attenzione sull'istologia dei tessuti nervosi. In questo filone di ricerca, che l'avrebbe impegnato per tutta la vita professionale, si contraddistinse per la sistematica applicazione, pionieristica per quei tempi, di tecniche di coltura in vitro.
La carriera accademica e scientifica
Ottenuta nel 1902 la libera docenza, ricevette un incarico presso la Stazione Zoologica di Napoli.
Vincitore di cattedra, si stabilì a Sassari nel 1910, per approdare nel 1914 a Palermo dove rimase per cinque anni. Nella parentesi palermitana, scoppiata la Prima guerra mondiale, si arruolò come ufficiale medico volontario in Cadore. Nel 1919 si trasferì a Torino, per assumere la direzione dell'Istituto di Anatomia Umana che, sotto la sua guida, raggiunse livelli scientifici di rilievo internazionale, riuscendovi ad attrarre finanziamenti da parte della Fondazione Rockefeller e indirizzando numerosi allievi verso l'attività di ricerca. È da rimarcare come per l'Istituto da lui diretto siano passati, fra l'altro, tre studenti che sarebbero stati insigniti del Premio Nobel: Salvador E. Luria, Rita Levi-Montalcini e Renato Dulbecco.
L'antifascismo, le leggi razziali e la fuga all'estero
Negli stessi anni non nascose le proprie posizioni di dissenso al fascismo, manifestando simpatie e coltivando frequentazioni con personalità di opposizione politica al regime, tra cui Filippo Turati e Anna Kuliscioff.
Una serie di arresti toccarono la sua famiglia e il suo entourage tanto che egli stesso, nel 1938, subì una detenzione di alcune settimane.
A seguito dell'applicazione delle Leggi Razziali, fu privato della cattedra e radiato dalle società accademiche italiane di appartenenza. Riparato all'estero, proseguì per due anni l'attività di ricerca presso l'Università di Liegi, fino a quando l'invasione tedesca del Belgio non lo spinse a rimpatriare.
Il ritorno in Italia
Ritornato in Italia, attese ancora a ricerche sperimentali utilizzando l'improvvisato e semi-clandestino laboratorio casalingo allestito dalla sua allieva Rita Levi-Montalcini.
Nel 1945, dopo la liberazione, venne reintegrato nell'insegnamento e nelle società accademiche di appartenenza.
Nel 1947 il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli affidò la direzione del ‘‘Centro di Studio sull'accrescimento e sulla senescenza degli organismi.
Ammalatosi di cancro allo stomaco, morì a Torino nel 1965.
Onorificenze
Fu socio dell'Accademia dei Lincei e dell'Accademia nazionale delle scienze (detta Accademia dei XL) oltre che di numerose altre Istituzioni culturali e scientifiche nazionali ed estere.
Curiosità
Sposato nel 1901 con Lidia Tanzi, di famiglia non ebrea, fu padre di cinque figli, Paola (prima moglie di Adriano Olivetti), Alberto, Mario, Gino e Natalia, scrittrice italiana meglio nota come Natalia Ginzburg. Sarà proprio lei a consegnarcene un indimenticabile ritratto privato, tratteggiato con quella levità di tocco e unicità di linguaggio che contraddistinguono il suo capolavoro, Lessico famigliare, edito nel 1963.
Ebbe, come allievo prima, amico e collaboratore poi, Tullio Terni che, epurato anche lui per motivi razziali, caduto il fascismo, fu al centro di un infelice caso di epurazione che lo condusse ad un polemico suicidio nel primo anniversario della Liberazione.
Iscriviti a:
Post (Atom)