martedì 23 febbraio 2010

Adriano Olivetti citato in Lessico famigliare

Adriano Olivetti (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27 febbraio 1960) è stato un imprenditore, ingegnere epolitico italiano, figlio di Camillo Olivetti; fu uomo di grande e singolare rilievo nella storia italiana del secondo dopoguerra.


Nacque sulla collina di Monte Navale, nelle vicinanze di Ivrea l'11 aprile del 1901, dal padre Camillo,ebreo, e dalla madre Luisa, valdese. Nel 1924 conseguì la laurea in ingegneria chimica e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti, durante il quale poté aggiornarsi sulle pratiche di organizzazione aziendale, entrò nel 1926 nella fabbrica paterna ove, per volere di Camillo, fece le prime esperienze come operaio. Divenne direttore della Società Olivetti nel 1933 e presidente nel1938.

Si oppose al regime fascista con momenti di militanza attiva (partecipò con Carlo Rosselli, Ferruccio Parri, Sandro Pertini ed altri alla liberazione di Filippo Turati). Durante gli anni del conflitto bellico, in cui Olivetti era inseguito da mandato di cattura per attività sovversiva, riparò in Svizzera. Rientrato dal suo rifugio alla caduta del regime, riprese le redini della azienda.

Alle sue capacità manageriali che portarono la Olivetti ad essere la prima azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, unì una instancabile sete di ricerca e di sperimentazione su come si potessero armonizzare lo sviluppo industriale con la affermazione dei diritti umani e con la democrazia partecipativa, dentro e fuori la fabbrica. Nel 1945 pubblicò L'ordine politico delle Comunità che va considerato la base teorica per una idea federalista dello Stato che, nella sua visione, si fondava appunto sulle comunità, vale a dire unità territoriali culturalmente omogenea e economicamente autonome.

Nel 1948 fondò a Torino il "Movimento Comunità" e si impegnò affinché si realizzasse il suo ideale di comunità in terra di Canavese. Il movimento, che tentava di unire sotto un'unica bandiera l'ala socialista con quella liberale, assunse nell'Italia degli anni Cinquanta una notevole importanza nel campo della cultura economica, sociale e politica. Sotto l'impulso delle fortune aziendali e dei suoi ideali comunitari, Ivrea neglianni cinquanta raggruppò una quantità straordinaria di intellettuali che operavano (chi in azienda chi all'interno del Movimento Comunità) in differenti campi disciplinari, inseguendo il progetto di una sintesi creativa tra cultura tecnico-scientifica e cultura umanistica.

Fu sindaco di Ivrea nel 1956 e nel 1958 venne eletto deputato come rappresentante di "Comunità". Studioso di urbanistica, diresse il piano regolatore della Valle d'Aosta e fu anche presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica.

Il 27 febbraio 1960 morì improvvisamente durante un viaggio in treno da Milano a Losanna: al momento del suo decesso l'azienda fondata dal padre e da lui per lungo tempo diretta vantava una presenza su tutti i maggiori mercati internazionali, con circa 36.000 dipendenti, di cui oltre la metà all'estero.
Dal primo dopoguerra agli anni del consenso fascista

Adriano Olivetti ebbe uno rapporto dialettico con il padre Camillo. Apparentemente visse la ribellione tipica dei figli "intelligenti" nel confronto dei padri altrettanto "intelligenti". Si può comunque affermare che tra Adriano e Camillo Olivetti ci fu sempre identità di vedute nelle linee generali della politica e dell'idealità anche se, spesso e volentieri, Adriano ebbe modo di affermare anche in quel campo la propria autonomia e la propria statura intellettuale.

Camillo Olivetti sappiamo, fu un cauto interventista sopravvivendo in lui lo spirito risorgimentale. Adriano, in sintonia, dopo Caporetto si arruolò volontario pur non combattendo in quanto la guerra finì prima che potesse raggiungere il fronte.

Adriano si laureò in ingegneria chimica presso il Politecnico di Torino, fu una ribellione a metà nei confronti del padre, che sicuramente l’avrebbe preferito ingegnere meccanico. A metà, perché le sue inclinazioni erano all’epoca più vicine alla cultura umanistica che non a quella scientifica.

Nel 1919 collaborò con il padre alla redazione de: L'Azione Riformista: è provato da numerosi riferimenti del padre, anche se non siamo in grado di riconoscer gli articoli scritti da Adriano Olivetti in quanto anonimi o firmati con uno pseudonimo.

Quando nel 1920 Camillo decise di sospendere la pubblicazione di quel settimanale canavesano da lui ritenuto troppo provinciale e quindi privo di un’influenza reale nella politica, Adriano convinse il padre a cedere a lui e a dei suoi giovani amici (dal commiato di Camillo ai lettori Azione Riformista 1919) quel foglio, che tuttavia non andrà oltre al 1920.

Sappiamo che collaborò anche con Tempi Nuovi il settimanale politico torinese che il padre promuoverà con Donato Bachi (che ne sarà il direttore) e altri progressisti.

Con la svolta, prima critica, poi più marcatamente antifascista di quel giornale, ci fu anche la svolta politica di Adriano Olivetti, anche influenzato dall’ambiente culturale del Politecnico e dall’amicizia con la famiglia Levi. In particolare con Gino Levi suo compagno di corso.
Acutamente, Natalia Levi Ginzburg nel libro Lessico famigliare descrive in questi termini il rapporto tra Adriano Olivetti e la sua famiglia Levi (il padre, Giuseppe Levi, fu un brillante docente di anatomia all'università di Torino):

Fra questi amici ce n’era uno che si chiamava Olivetti, e io ricordo la prima volta che entrò in casa nostra, vestito da soldato perché faceva in quel tempo il servizio militare. Adriano aveva allora la barba, una barba incolta e ricciuta, di un colore fulvo; aveva lunghi capelli biondo fulvi, che si arricciolavano sulla nuca ed era grasso e pallido. La divisa militare gli cadeva male sulle spalle, che erano grasse e tonde; e non ho mai visto una persona, in panni grigio verdi e con pistola alla cintola, più goffa e meno marziale di lui. Aveva un’aria molto malinconica, forse perché non gli piaceva niente fare il soldato; era timido e silenzioso, ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse ed oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti.

Con la famiglia Levi, Adriano fu tra i protagonisti della rocambolesca fuga di Filippo Turati.

Ospitato prima dai Levi nella loro casa di Torino, Turati raggiunse poi Ivrea. Fece tappa nella notte in casa di Giuseppe Pero, dirigente della Olivetti, per ripartire al mattino seguente in una macchina guidata da Adriano che raggiungerà Savona, dove li aspettava Sandro Pertini con cui l’esule si imbarcò per la Corsica per poi raggiungere la Francia e Parigi.

Come abbia potuto Adriano Olivetti, non essere coinvolto nell'inchiesta fascista che seguì alla fuga di Turati non è chiaro. Possiamo solo formulare due ipotesi: una, che riguarda la fortuna o la superficialità delle indagini; l'altra,(che può solo essere ipotizzata) e cioè protezioni che vennero dagli ambienti "giodiani" torinesi.

Sappiamo dagli articoli su Tempi Nuovi che la redazione, almeno fino al 1923 ebbe un rapporto di reciproca stima con il fascismo torinese diMario Gioda, il quale sia pur scomparso nel 1924, aveva lasciato numerosi seguaci nella federazione torinese.

L’antifascismo di Adriano si era già espresso immediatamente dopo il ritrovamento del cadavere di Giacomo Matteotti nella manifestazione che promosse, insieme al padre, al teatro Giacosa di Ivrea nel 1924.

Maggiore prudenza Adriano Olivetti la dimostrò nei confronti del regime, parallelamente all’assunzione di responsabilità nella fabbrica di Ivrea.

Adriano Olivetti venne nominato Direttore generale, si sposò con Paola Levi, sorella di Gino. Paola, insofferente al provincialismo eporediese, lo convinse a trasferire casa a Milano; questa fu una delle svolte culturali per Adriano, perché nel capoluogo meneghino poté incontrare quell'intellighenzia che lo avvicinò in seguito all'architettura, l'urbanistica, la psicologia e la sociologia.

Ebbe ancora problemi con il Regime, quando il fratello di Gino e Paola Levi, Mario (che lavorava alla Olivetti), venne fermato alla frontiera con laSvizzera, essendo l’auto carica di manifestini di Giustizia e Libertà. Riuscì a fuggire, ma la conseguenza fu che Gino Levi e il padre furono arrestati, rimanendo per circa due mesi nelle patrie galere.

Adriano in quel frangente si mobilitò e molto spese del suo per difendere il suocero e l'amico cognato. È quello il periodo cha a Camillo Olivetti fu momentaneamente ritirato il passaporto.

Tuttavia i rapporti con il fascismo migliorarono negli anni trenta. Sarà soprattutto l’incontro con gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini, i quali erano la punta più avanzata di quel razionalismo in architettura che in un primo periodo venne sostenuto anche da Mussolini.

I due architetti erano i corrispondenti italiani del grande Le Corbusier, il quale, pure lui, per un certo periodo fu estimatore di Mussolini in quegli anni che saranno definiti del consenso, tanto che Figini e Pollini aderirono al partito fascista.

Sicuramente Adriano da loro fu influenzato; essi saranno infatti gli architetti della nuova Olivetti e saranno anche, con Adriano, estensori delPiano per la provincia di Aosta (di cui Ivrea faceva parte in quegli anni).

Non sappiamo con quanta convinzione, ma ad ogni modo è provato (vedasi Valerio Ochetto, Adriano Olivetti, Milano, Mondadori, 1985) che Adriano Olivetti chiese ed ottenne la tessera al PNF. Non solo, ma fu ricevuto da Mussolini a Palazzo Venezia dove l’industriale eporediese presentò il suo piano al Duce.

Le sue affinità politiche del periodo furono con Giuseppe Bottai che nel fascismo sempre rappresentò una voce fuori dal coro. Prudente tanto da non farsi radiare come avvenne a Massimo Rocca, Bottai fu pur sempre uno spirito libero che rappresentò l’altra faccia del fascismo, quella meno totalitara e folcloristica e più problematica.

Quello con il Regime fu un feeling di breve durata. In architettura i gusti di Mussolini cambiarono: dal razionalismo passò ad una architettura di regime che intendeva riecchegiare i fasti della Roma Imperiale.
In ogni caso, il piano della Valle d'Aosta ebbe ancora una mostra a Roma, i giornali ne parlarono, come dimostra una lettera che Camillo scrisse ad Adriano:

Sig Adriano Olivetti Roma
Ho visto i tuoi articoli sulla Stampa e sulla Gazzetta del popolo per il piano per la Provincia di Aosta, e spero che questo tuo lavoro ti possa dare molta gloria, ma pochi fastidi.
Sulla Gazzetta del Popolo ho osservato che il tuo nome è stato omesso. Non so se l’articolo è stato scritto da te (nel qual caso ti avverto che non bisogna essere troppo modesti) oppure da altri che non ha voluto menzionare il tuo nome, nel qual caso vorrei sapere la causa (…) (lettera presente nell'archivio storico Olivetti).

Poi fu il silenzio, con la guerra d'Africa prima, la guerra di Spagna e poi, il secondo conflitto mondiale, il consenso di Adriano Olivetti si affievolì fino a portarlo ad un aperto antifascismo.

Riferimenti bibliografici del paragrafo
- Valerio Ochetto, Adriano Olivetti, Mondadori
- Renzo De Felice, Gli anni del consenso, Einaudi

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