martedì 23 febbraio 2010

Cesare Pavese citato in Lessico famigliare

Cesare Pavese nacque il 9 settembre 1908 nel cascinale di San Sebastiano, dove la famiglia trascorreva il periodo estivo, a Santo Stefano Belbo, un piccolo paese nelle Langhe, in provincia di Cuneo.
La fanciullezza
Il padre Eugenio era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino dove risiedeva con la moglie Consolina Mesturini, figlia di commercianti benestanti di Ticineto, e la primogenita Maria.
Malgrado l'agiatezza economica la prima fanciullezza di Pavese non fu felice: una sorellina che era nata prima di lui era morta di difterite; e altri due fratelli, in seguito, morirono ancora molto piccoli. La madre, fragile di salute, aveva dovuto affidare ad una balia il piccolo Cesare e quando andò a riprenderlo, venne allevato da Vittoria Scaglione.
Suo padre morì il 2 gennaio 1914 di un cancro al cervello, quando Cesare aveva solamente sei anni. Come scrive Vincenzo Arnone [1] "c'erano già tutti i motivi - familiari e affettivi - per far crescere precocemente il piccolo Cesare che trattenne le lacrime, di cui sentiva istintivamente il pudore; c'erano già tutti i motivi per una preistoria umana e letteraria che avrebbe accompagnato e segnato la vita dello scrittore".
La madre si sostituì al marito nell'allevare i figli impartendo loro un'educazione molto rigorosa e contribuendo indirettamente ad accentuare il carattere già introverso e instabile di Cesare.
Pavese è forse uno dei più grandi scrittori italiani del '900. La sua prosa scarna e scorrevole, ma intensa e poetica, sorprende anche il lettore più esigente.
Gli studi
Nell'autunno dello stesso anno in cui morì il padre, la madre si ammalò di tifo e la famiglia fu costretta a rimanere a Santo Stefano dove Cesare frequentò la prima elementare; le altre quattro classi del ciclo le compì a Torino, presso l'istituto privato "Gambetta" di Via Garibaldi. Come scrive Armanda Guiducci [2] «S. Stefano fu il luogo della sua memoria e immaginazione; il luogo reale della sua vita, per quarant'anni, fu Torino». Lungo lo stradone che porta da Santo Stefano a Canelli, nella bottega del falegname Scaglione, Cesare conobbe Pinoli, il più piccolo dei figli che descriverà in alcune sue opere, soprattutto ne La luna e i falò dove comparirà col soprannome di Nuto e al quale rimarrà sempre legato.
Nel frattempo Consolina, non riuscendo più a sostenere la gestione dei mezzadri e soprattutto le spese, prese la decisione 1916 di vendere la cascina di San Sebastiano e di andare a vivere con i figli in una piccola villa che aveva comprato in collina a Reaglie, frazione del Comune di Torino.
Dopo la scuola elementare, a Torino Cesare frequentò le scuole medie presso l'Istituto Sociale diretto dai gesuiti e in seguito si iscrisse alla scuola pubblica "Cavour" dove frequentò i due anni ginnasiali con l'indirizzo moderno, che non prevedeva lo studio della lingua greca. In quegli anni iniziò ad appassionarsi alla letteratura e i suoi primi autori di riferimento furono Guido da Verona e Gabriele D'Annunzio. Con il compagno di studi Mario Sturani, col quale strinse una solida amicizia durata tutta la vita, cominciò a frequentare la Biblioteca Civica e a scrivere i primi versi, ampliando così i suoi interessi.
Pavese si iscrisse al liceo D'Azeglio nell'ottobre del 1923 e scoprì l'opera di Alfieri. Passò gli anni di liceo tra i primi amori adolescenziali e le amicizie con un gruppo di compagni, tra i quali Tullio Pinelli, amico al quale Pavese farà leggere per primo il dattiloscritto di "Paesi tuoi" e invierà una lettera di addio prima del suicidio. Cesare rimase a lungo a casa da scuola a causa di una pleurite che si era preso rimanendo a lungo sotto la pioggia per aspettare una cantante ballerina di varietà in un locale frequentato dagli studenti, della quale si era innamorato. Era il 1925 e frequentava allora la seconda liceo; l'episodio è citato da Francesco De Gregori nella canzone Alice (...e Cesare perduto nella pioggia sta aspettando da sei ore il suo amore ballerina).
L'anno seguente fu scosso profondamente dalla tragica morte di un suo compagno di classe, Elio Baraldi, che si era tolto la vita con un colpo di rivoltella. Ebbe la tentazione di copiare quel gesto. Testimonianza di questo sofferto periodo sono le lettere e la poesia inviata il 9 gennaio 1927 [3] all'amico Sturani.
« Sono andato una sera di dicembre/ per una stradicciuola di campagna/ tutta deserta, col tumulto in cuore./ Avevo dietro me una rivoltella. »
Gobettiano fu il suo insegnante di latino e greco, l'antifascista Augusto Monti, che gli insegnò un metodo rigoroso di studio improntato all'estetica crociana frammista di alcune concezioni di De Sanctis.
Nel 1926, conseguita la maturità liceale, inviò alla rivista "Ricerca di poesia" alcune liriche, che furono però respinte. Si iscrisse intanto alla Facoltà di lettere dell'Università di Torino e continuò a scrivere e a studiare con grande fervore l'inglese, appassionandosi alla lettura di Walt Whitman, mentre le sue amicizie si allargarono a coloro che diventeranno, in seguito, intellettuali antifascisti di spicco: Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi.
L'interesse per la letteratura americana divenne sempre più rilevante e così iniziò ad accumulare materiale per la sua tesi di laurea, mentre proseguivano i timidi amori seguiti da una fase di angelicazione della donna. Intanto si appassionava sempre più alla sua città e così scriveva all'amico [4]:
« Ora io non so se sia l'influenza di Walt Whitman, ma darei 27 campagne per una città come Torino. La campagna sarà buona per un riposo momentaneo dello spirito, buona per il paesaggio, vederlo e scappar via rapido in un treno elettrico, ma la vita, la vita vera moderna, come la sogno e la temo io è una grande città, piena di frastuono, di fabbriche, di palazzi enormi, di folle e di belle donne (ma tanto non le so avvicinare) [5]. »


Durante gli anni dell'università l'interesse per la letteratura americana maturò in preparazione della tesi: leggendo Babbit di Sinclair Lewis Pavese volle capire a fondo lo slang. Iniziò così una fitta corrispondenza con un giovane italo-americano, conosciuto qualche anno prima a Torino, che lo aiutò ad approfondire l'americano a lui più contemporaneo.
Ad Antonio Chiuminatto scriverà
« ora io credo che lo slang non è una lingua distinta dall'inglese come per esempio il piemontese dal toscano... Lei dice: questa parola è slang e quest'altra è classica. Ma lo slang è forse altra cosa che il tronco delle nuove parole ed espressioni inglesi, continuamente formate dalla gente che vive, come lingue di tutti i tempi? Voglio dire, non c'è una linea che possa essere tracciata tra le parole inglesi e quelle dello slang come tra due lingue diverse... [6] »
Negli anni seguenti proseguì gli studi con passione, scrisse versi e lesse molto, soprattutto autori americani come Lewis, Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell, Anderson e la Stein e iniziò a tradurre per l'editore Bemporad Our Mr. Wrenn di Lewis e scrisse per Arrigo Cajumi, membro del comitato direttivo della rivista "La Cultura", il suo primo saggio sull'autore di Babbitt iniziando così la serie detta "Americana".
Nel 1930 presentò la sua tesi di laurea "Sulla interpretazione della poesia di Walt Whitman" ma Federico Oliviero, il professore con il quale doveva discuterla, la rifiutò all'ultimo momento perché troppo improntata all'estetica crociana e quindi scandalosamente liberale per l'età fascista. Fortunatamente intervenne Leone Ginzburg, la tesi venne così accettata dal professore di Letteratura francese Ferdinando Neri e Pavese poté laurearsi con 108/110[7].
L'attività di traduttore e l'insegnamento
Nello stesso anno morì la madre e Pavese rimase ad abitare nella casa materna con la sorella Maria, dove visse fino al penultimo giorno della sua vita e iniziò, per guadagnare, l'attività di traduttore in modo sistematico alternandola all'insegnamento della lingua inglese.
Per un compenso di 1000 lire tradusse Moby Dick di Herman Melville, Riso nero di Anderson e scrisse un saggio sullo scrittore e, ancora per "La Cultura", un articolo sull'Antologia di Spoon River, uno su Melville e uno su O. Henry. Risale a questo stesso anno la prima poesia di Lavorare stanca. Ottenne anche alcune supplenze nelle scuole di Bra, Vercelli e Saluzzo e incominciò anche ad impartire lezioni private oltre ad insegnare nelle scuole serali.
Nel periodo che va dal settembre 1931 al febbraio 1932 Pavese compose un ciclo di racconti e poesie dal titolo Ciau Masino rimasto a lungo inedito che verrà pubblicato per la prima volta nel 1968 in edizione fuori commercio e contemporaneamente nel primo volume dei Racconti delle "opere di Cesare Pavese".
Nel 1932, per poter insegnare nelle scuole pubbliche si arrese, pur malvolentieri, alle insistenze della sorella e di suo marito e si iscrisse al partito nazionale fascista, cosa che rimprovererà più tardi alla sorella Maria in una lettera del 29 luglio 1935 scritta dal carcere di Regina Coeli: "A seguire i vostri consigli, e l'avvenire e la carriera e la pace ecc., ho fatto una prima cosa contro la mia coscienza".
Continuava intanto l'attività di traduttore, che terminò solamente nel 1947, e nel 1933 tradusse Il 42º parallelo di John Dos Passos e The Portrait of the Artist as a Young Man di James Joyce. Ebbe inizio in questo periodo un tormentato rapporto sentimentale con Tina Pizzardo, la "donna dalla voce rauca" alla quale dedicherà i versi di Incontro nella raccolta Lavorare stanca.
« ... L'ho incontrata una sera: una macchia più chiara/ sotto le stelle ambigue, nella foschia d'estate./ Era intorno il sentore di queste colline/ più profondo dell'ombra, e d'un tratto suonò/ come uscisse da queste colline, una voce più netta/ e aspra insieme, una voce di tempi perduti. [8] »
L'incarico all'Einaudi
Giulio Einaudi aveva intanto fondato la sua casa editrice e le due riviste, "La riforma sociale" di Luigi Einaudi e "La Cultura", che era stata fondata da Cesare De Lollis e in quel momento diretta da Cajumi, si fusero dando vita a una nuova "La Cultura" della quale doveva diventare direttore Leone Ginzburg. Ma molti partecipanti del "Movimento "Giustizia e Libertà", tra cui anche Ginzburg, all'inizio del 1934 vennero arrestati e la direzione della rivista passò a Sergio Solmi. Pavese intanto fece domanda alla casa editrice per poter sostituire Ginzburg e, dal maggio di quell'anno, visto che era tra quelli meno compromessi politicamente, incominciò la collaborazione con l'Einaudi dirigendo per un anno "La Cultura" e curando la sezione di etnologia.
Sempre nel 1934, grazie alla raccomandazione di Ginzburg, riuscì ad inviare ad Alberto Carocci, direttore a Firenze della rivista Solaria, le poesie di Lavorare stanca che vennero lette da Elio Vittorini con parere positivo tanto che Carocci ne decise la pubblicazione.
L'arresto e la condanna
Nel 1935 Pavese, intenzionato a proseguire nell'insegnamento, si dimise dall'incarico all'Einaudi e incominciò a prepararsi per affrontare il concorso di latino e greco ma, il 15 maggio, in seguito ad altri arresti di intellettuali aderenti a "Giustizia e Libertà", venne fatta una perquisizione nella casa di Pavese, sospettato di frequentare il gruppo di intellettuali a contatto con Ginzburg, e venne trovata, tra le sue carte, una lettera di Altiero Spinelli detenuto per motivi politici nel carcere romano. Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato e incarcerato dapprima alle Nuove di Torino, poi a Regina Coeli a Roma e, in seguito al processo, venne condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. Pavese, in realtà, era innocente per il fatto che la lettera trovata era rivolta a Tina, la "donna dalla voce rauca", della quale era stato precedentemente innamorato. Tina era politicamente impegnata e iscritta al partito comunista clandestino e continuava ad avere contatti epistolari con un ex - fidanzato, appunto lo Spinelli e le lettere pervenivano a casa di Pavese che, per accontentarla e senza valutare le conseguenze, le aveva permesso di utilizzare il suo indirizzo.
Il confino a Brancaleone
Il 4 agosto 1935 giunse in Calabria a Brancaleone e scrisse ad Augusto Monti [9] "Qui i paesani mi hanno accolto umanamente, spiegandomi che, del resto, si tratta di una loro tradizione e che fanno così con tutti. Il giorno lo passo "dando volta", leggicchio, ristudio per la terza volta il greco, fumo la pipa, faccio venir notte; ogni volta indignandomi che, con tante invenzioni solenni, il genio italico non abbia ancora escogitato una droga che propini il letargo a volontà, nel mio caso per tre anni. Per tre anni! Studiare è una parola; non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un'inutile castità.
Nell'ottobre di quell'anno aveva iniziato a tenere quello che nella lettera al Lajolo definisce lo "zibaldone", cioè un diario che diventerà in seguito Il mestiere di vivere e aveva fatto domanda di grazia, con la quale ottenne il condono di due anni.
Per approfondire, vedi la voce Lavorare stanca.
Nel 1936, durante il suo confino, venne pubblicata la prima edizione della raccolta poetica Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa, passò quasi inosservata.
Il ritorno a Torino
Verso la fine del '36, terminato l'anno di confino, Pavese fece ritorno a Torino e dovette affrontare la delusione di sapere che Tina si era sposata con un altro e che le sue poesie erano state ignorate. Per guadagnarsi da vivere riprese il lavoro di traduttore e nel 1937 tradusse Un mucchio di quattrini (The Big Money) di Dos Passos per Mondadori e Uomini e topi di Steinbeck per Bompiani. Dal 1º maggio accettò di collaborare, con un lavoro stabile e per lo stipendio di mille lire al mese, con la Einaudi sia per la collana "Narratori stranieri tradotti" che per la "Biblioteca di cultura storica" traducendo Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Daniel Defoe e l'anno dopo La storia e le personali esperienze di David Copperfield di Charles Dickens oltre l'Autobiografia di Alice Toklas della Stein.
Il passaggio alla prosa
Per approfondire, vedi le voci Notte di festa, Il carcere e Paesi tuoi.
Nel frattempo incominciò a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi, dapprima nella raccolta "Notte di festa" e in seguito nel volume de "I racconti" e fra il 27 novembre del 1936 e il 16 aprile del 1939 completò la stesura del suo primo romanzo breve tratto dall'esperienza del confino intitolato "Il carcere" (il primo titolo era stato "Memorie di due stagioni") che verrà pubblicato dieci anni dopo e dal 3 giugno al 16 agosto scrisse Paesi tuoi che verrà pubblicato nel 1941 e sarà la prima opera di narrativa dello scrittore data alle stampe.
Si andava intanto intensificando, dopo il ritorno dal confino di Leone Ginzburg da Pizzoli, negli Abruzzi, l'attività del gruppo clandestino di "Giustizia e Libertà" e quella dei comunisti con a capo Ludovico Geymonat e Pavese, che era chiaramente antifascista, venne coinvolto e, al di qua di una precisa e dichiarata definizione politica, iniziò ad assistere con crescente interesse alle frequenti discussioni che avvenivano a casa degli amici. Conobbe in questo periodo Giaime Pintor che collaborava ad alcune riviste letterarie ed era inserito alla Einaudi come traduttore dal tedesco e come consulente e nacque tra loro una salda amicizia.
Il periodo della guerra
Nel 1940 l'Italia era intanto entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria che era stata sua allieva al liceo D'Azeglio e che gli aveva presentato Norberto Bobbio. La ragazza, giovane e ricca di interessi culturali, si chiamava Fernanda Pivano e colpì lo scrittore a tal punto che il 26 luglio le propose il matrimonio; malgrado il rifiuto della giovane, l'amicizia continuò. Alla Pivano Pavese dedicò alcune poesie, tra le quali "Mattino", "Estate" e "Notturno" che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca. Lajolo scrive che " Per cinque anni Fernanda fu la sua confidente, ed è in lei che Pavese tornò a sperare per avere una casa ed un amore. Ma anche quella esperienza - così diversa - si concluse per lui con un fallimento. Sul frontespizio di Feria d'agosto sono segnate due date: 26 luglio '40, 10 luglio '45, che ricordano le due domande di matrimonio fatte a Fernanda e le due croci rappresentano il significato delle risposte" [10].
Per approfondire, vedi le voci La bella estate e La spiaggia.
In quell'anno Pavese scrisse La bella estate (il primo titolo sarà "La tenda"), che verrà pubblicato nel 1949 nel volume dal titolo omonimo che comprende Il diavolo sulle colline e Tra donne sole; tra il '40 e il '41 scrisse La spiaggia, che vedrà una prima pubblicazione nel 1942 su "Lettere d'oggi" di Giambattista Vicari.
Nel 1941, con la pubblicazione di Paesi tuoi, e quindi l'esordio narrativo di Pavese, la critica sembrò accorgersi finalmente dell'autore. Intanto, nel 1942, Pavese venne regolarmente assunto dalla Einaudi con mansioni di impiegato di prima categoria e con il doppio dello stipendio sulla base del contratto nazionale collettivo di lavoro dell'industria. Nel 1943 Pavese venne trasferito per motivi editoriali a Roma dove gli giunse la cartolina di precetto ma, a causa della forma d'asma di origine nervosa di cui soffriva, dopo sei mesi di convalescenza all'Ospedale militare di Rivoli venne dispensato dalla leva militare e ritornò a Torino che nel frattempo aveva subito numerosi bombardamenti e che trovò deserta dai numerosi amici, mentre sulle montagne si stavano organizzando le prime bande partigiane.
Nel 1943, dopo l'8 settembre, Torino venne occupata dai tedeschi e anche la casa editrice venne occupata da un commissario della Repubblica sociale italiana. Pavese, a differenza di molti suoi amici che si preparavano alla lotta clandestina, si rifugiò a Serralunga di Crea, un piccolo paese del Monferrato, dove la sorella Maria era sfollata. A dicembre, per sfuggire ad una retata da parte dei repubblichini e dei tedeschi, chiese ospitalità presso il Collegio Convitto dei padri Somaschi dove, per sdebitarsi, dava ripetizioni agli allievi. Leggeva e scriveva apparentemente sereno mentre intorno a lui, sulle colline, altri giovani morivano per difendere la loro terra.
Il 1º marzo, mentre si trovava ancora a Serralunga, gli giunse la notizia della tragica morte di Leone Ginzburg avvenuta sotto le torture nel carcere di Regina Coeli. Il 3 marzo scriverà: "L'ho saputo il 1° marzo. Esistono gli altri per noi? Vorrei che non fosse vero per non star male. Vivo come in una nebbia, pensandoci sempre ma vagamente. Finisce che si prende l'abitudine a questo stato, in cui si rimanda sempre il dolore vero a domani, e così si dimentica e non si è sofferto" [11].
Gli anni del dopoguerra (1945 - 1950)
L'iscrizione al Partito comunista e l'attività a "L'Unità"
Ritornato a Torino dopo la liberazione, venne subito a sapere che tanti amici erano morti: Giaime Pintor era stato dilaniato da una mina sul fronte dell'avanzata americana; Luigi Capriolo era stato impiccato a Torino dai fascisti e Gaspare Pajetta, un suo ex allievo di soli diciotto anni, era morto combattendo nella Val di Sesia. Dapprima, colpito indubbiamente da un certo rimorso, che ben espresse in seguito nelle poesie del poemetto "La terra e la morte" e in tante pagine dei suoi romanzi, egli cercò di isolarsi dagli amici rimasti ma poco dopo decise di iscriversi al Partito comunista iniziando a collaborare al quotidiano L'Unità; ne darà notizia da Roma, dove era stato inviato alla fine di luglio per riorganizzare la filiale romana della Einaudi, il 10 novembre all'amico Mila: "Io ho finalmente regolato la mia posizione iscrivendomi al PCI".
Come scrive l'amico Lajolo [12] "La sua iscrizione al partito comunista oltre ad un fatto di coscienza corrispose certamente anche all'esigenza che sentiva di rendersi degno in quel modo dell'eroismo di Gaspare e degli altri suoi amici che erano caduti. Come un cercare di tacitare i rimorsi e soprattutto di impegnarsi almeno ora in un lavoro che ne riscattasse la precedente assenza e lo ponesse quotidianamente a contatto con la gente... Tentava con quel legame anche disciplinare, di rompere l'isolamento, di collegarsi, di camminare assieme agli altri. Era l'ultima risorsa alla quale si aggrappava per imparare il mestiere di vivere".
Nei mesi trascorsi presso la redazione de L'Unità conobbe Italo Calvino, che lo seguì alla Einaudi e ne divenne da quel momento uno dei più stimati collaboratori e Silvio Micheli che era giunto a Torino nel giugno del 1945 per parlare con Pavese della pubblicazione del suo romanzo "Pane duro".
Alla sede romana della Einaudi
Verso la fine del 1945, Pavese dovette lasciare Torino per recarsi a Roma dove ebbe l'incarico di potenziare la sede romana della Einaudi. Il periodo romano, che durò fino alla seconda metà del 1946, fu considerato dallo scrittore tempo d'esilio perché staccarsi dall'ambiente torinese, dagli amici e soprattutto dalla nuova attività politica, lo fece ricadere nella malinconia.
Nella segreteria della sede romana lavorava una giovane donna, Bianca Garufi, e per lei Pavese provò una nuova passione, più impegnativa dell'idillio con la Pivano, che egli visse intensamente e che lo fece soffrire.
Scriverà nel suo diario, il 1º gennaio del 1946, come consuntivo dell'anno trascorso: "Anche questa è finita. Le colline, Torino, Roma. Bruciato quattro donne, stampato un libro, scritte poesie belle, scoperta una nuova forma che sintetizza molti filoni (il dialogo di Circe). Sei felice? Sì, sei felice. Hai la forza, hai il genio, hai da fare. Sei solo. Hai due volte sfiorato il suicidio quest'anno. Tutti ti ammirano, ti complimentano, ti ballano intorno. Ebbene? Non hai mai combattuto, ricordalo. Non combatterai mai. Conti qualcosa per qualcuno? [13].
Per approfondire, vedi la voce Fuoco grande.
Nel febbraio del '46 iniziò a scrivere in collaborazione con la Garufi un romanzo, a capitoli alterni, che rimarrà incompiuto e che verrà pubblicato postumo nel 1959 con il titolo, dato dall'editore, Fuoco grande.
A Torino: la Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici
Per approfondire, vedi la voce Dialoghi con Leucò.
Ritornato a Torino si mise a lavorare su quei temi delineatisi nella mente quando era a Serralunga. Incominciò a comporre i Dialoghi con Leucò e nell'autunno, mentre stava terminando l'opera, scrisse i primi capitoli de Il compagno con il quale volle testimoniare l'impegno per una precisa scelta politica.
Terminati i Dialoghi, in attesa della pubblicazione del libro che avvenne a fine novembre nella collana "Saggi", tradusse "Capitano Smith" di Robert Henriques.
Il 1947 fu un anno intenso per l'attività editoriale e Pavese si interessò particolarmente della "Collezione di studi religiosi, etnologici e psicologici" da lui ideata e che fece conoscere al mondo culturale italiano le opere di autori come Lévy-Bruhl, Malinowski, Propp, Frobenius, Jung, che avrebbero dato l'avvio alle nuove teorie antropologiche. Oltre a questa Collezione, Pavese inaugurò la nuova collana di narrativa dei "Coralli" che era nata in quello stesso anno in sostituzione dei "Narratori contemporanei".
La febbrile attività narrativa
Per approfondire, vedi le voci Il compagno e La casa in collina.
Tra il settembre del 1947 e il febbraio del 1948, contemporaneamente a Il compagno , scrisse La casa in collina che uscì l'anno successivo insieme a Il carcere nel volume Prima che il gallo canti il cui titolo, ripreso dalla risposta di Cristo a Pietro, si riferisce, con tono palesemente autobiografico ai suoi tradimenti politici. Seguirà, tra il giugno e l'ottobre del '48 Il diavolo sulle colline.
Nell'estate del '48 gli era stato intanto assegnato per "Il compagno" il Premio Salento ma Pavese aveva scritto all'amico Carlo Muscetta di dimissionarlo da qualsiasi premio letterario, presente o futuro.
Alla fine dell'anno uscì Prima che il gallo canti che venne subito elogiato dai critici Emilio Cecchi e Giuseppe De Robertis. Dal 27 marzo al 26 maggio del 1949 scrisse Tra donne sole e, al termine del romanzo, andò a trascorrere una settimana a Santo Stefano Belbo e, in compagnia dell'amico Pinolo Scaglione, a suo agio tra quelle campagne, iniziò ad elaborare quella che sarebbe diventata La luna e i falò, l'ultima sua opera pubblicata in vita.
Per approfondire, vedi le voci La bella estate, Il diavolo sulle colline e Tra donne sole.
Il 24 novembre 1949 verrà pubblicato il trittico La bella estate che comprendeva i già citati tre romanzi brevi composti in periodi diversi: l'eponimo del 1940, Il diavolo sulle colline del 1948 e Tra donne sole del 1949.
Per approfondire, vedi la voce La luna e i falò.
Sempre nel 1949, scritto nel giro di pochi mesi e pubblicato nella primavera del 1950, scrisse La luna e i falò che sarà l'opera di narrativa conclusiva della sua carriera letteraria.
A Roma: l'ultimo amore
Dopo essere stato per un brevissimo tempo a Milano, farà un viaggio a Roma e vi rimarrà dal 30 dicembre del '49 al 6 gennaio del 1950 ma rimarrà deluso e il 1° gennaio scriverà sul suo diario [14] "Roma è un crocchio di giovanotti che attendono per farsi lustrare le scarpe. Passeggiata mattutina. Bel sole. Ma dove sono le impressioni del '45 - '46? Ritrovato a fatica gli spunti, ma niente di nuovo. Roma tace. Né le pietre né le piante dicono più gran che. Quell'inverno stupendo; sotto il sereno frizzante, le bacche di Leucò. Solita storia. Anche il dolore, il suicidio, facevano vita, stupore, tensione. In fondo ai grandi periodi hai sempre sentito tentazioni suicide. Ti eri abbandonato. Ti eri spogliato dell'armatura. Eri ragazzo. L'idea del suicidio era una protesta di vita. Che morte non voler più morire".
In questo stato d'animo conosce, in casa di amici, Constance Dowling giunta a Roma con la sorella Doris che aveva recitato in Riso amaro con Vittorio Gassman e Raf Vallone e, colpito dalla sua bellezza se ne innamora.
Ritornando a Torino cominciò a pensare che, ancora una volta, si era lasciato sfuggire l'occasione e quando Constance si recherà a Torino per riposare, si rivedono e la donna, che aveva invece colto l'occasione per "flirtare" con un famoso letterato, lo convinse ad andare con lei a Cervinia e Pavese si illuse un'altra volta. Ma Constance ripartirà presto per l'America per tentare fortuna a Hollywood lasciando lo scrittore amareggiato e infelice. A Constance, come per un addio dedica il romanzo "La luna e i falò". "For C. - Ripeness is all".
Il Premio Strega
Nella primavera - estate del 1950 uscirà la rivista "Cultura e realtà" e Pavese, che fa parte della redazione, apre il primo numero della rivista con un suo articolo sul mito nel quale afferma la sua fede poetica di carattere vichiano che non venne apprezzata dagli ambienti degli intellettuali comunisti.
Cesare viene attaccato e lui, sempre più amareggiato annoterà nel suo diario il 15 febbraio [15] "Pavese non è un buon compagno... Discorsi d'intrighi dappertutto. Losche mene, che sarebbero poi i discorsi di quelli che ti stanno più a cuore", e ancora il 20 maggio [16] "Mi sono impegnato nella responsabilità politica che mi schiaccia".
Pavese era terribilmente depresso e non servì a riscuoterlo nemmeno il Premio Strega che ricevette nel giugno del 1950 per La bella estate.

La morte
Per approfondire, vedi la voce Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Per approfondire, vedi la voce Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950.
La delusione amorosa per la fine del rapporto sentimentale con l'attrice americana Constance Dowling - cui dedicò gli ultimi versi di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi - ed il disagio esistenziale, lo indussero così al suicidio il 27 agosto del 1950, in una camera dell'albergo Roma, a Torino, che aveva occupato il 26 agosto. Venne trovato morto disteso sul letto dopo aver ingerito sedici bustine di sonnifero. Il 17 agosto scrive sul diario che verrà pubblicato postumo nel 1952 con il titolo Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950: "Questo il consuntivo dell'anno non finito, che non finirò." ed il 18 agosto chiude il diario scrivendo:
« Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più. [17] »
Sulla prima pagina dei "Dialoghi con Leucò" che si trovava sul tavolino aveva scritto:
« Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi. [18] »
Il suo amico scrittore Davide Lajolo bene descrisse in un libro intitolato non casualmente Il vizio assurdo il malessere esistenziale che sempre aveva avvolto la vita dell'intellettuale piemontese.

Opera e poetica

Per approfondire, vedi la voce Opere e poetica (Cesare Pavese).
Importante fu l'opera di Pavese scrittore di romanzi, poesie e racconti, ma anche quella di traduttore e critico: oltre all'Antologia americana curata da Elio Vittorini, essa comprende la traduzione di classici della letteratura da Moby Dick di Melville, nel 1932, ad opere di Dos Passos, Faulkner, Defoe, Joyce e Dickens.
Per approfondire, vedi la voce La letteratura americana e altri saggi.
Nel 1951 uscì postumo, edito da Einaudi e con la prefazione di Italo Calvino il volume La letteratura americana e altri saggi con tutti i saggi e gli articoli che Pavese scrisse tra il 1930 e il 1950.
La sua attività di critico in particolare contribuì a creare, verso la metà degli anni trenta, il sorgere di un certo mito dell'America. Lavorando nell'editoria (per la Einaudi) Pavese propose alla cultura italiana scritti su temi differenti, e prima d'allora raramente affrontati, come l'idealismo ed il marxismo, inclusi quelli religiosi, etnologici e psicologici.


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