martedì 23 febbraio 2010

Ferruccio Parri citato in Lessico famigliare


Ferruccio Parri (Pinerolo, 19 gennaio 1890 – Roma, 8 dicembre 1981) è stato un politico e antifascista italiano. Con il nome di battaglia Maurizio fu un capo partigiano durante la guerra di liberazione dal regime nazifascista in Italia, decorato dagli USA con la Bronze Star Medal. Fu il primo presidente del Consiglio a capo di un governo di unità nazionale istituito alla fine della seconda guerra mondiale. Lo pseudonimo "Maurizio" proveniva dal nome della chiesa di San Maurizio posta sulla cima della omonima collina, nella città natale di Pinerolo.

'impegno antifascista 
Laureato in Lettere, insegnò al Liceo Parini di Milano e fu redattore del Corriere della Sera. Prese parte alla Prima guerra mondiale in qualità di ufficiale di complemento, nella quale fu ripetutamente ferito, meritando tre medaglie d'argento al valor militare, varie onorificenze italiane e francesi, la promozione a maggiore per meriti di guerra. Partecipò come ufficiale di Stato Maggiore alla preparazione dei piani di battaglia per la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto.
In qualità di redattore del Corriere della Sera, sebbene richiesto da Luigi Albertini di restare almeno per un certo periodo, dovette allontanarsi dal giornale per non aver accettato la svolta fascista del quotidiano nel [1925; dovette successivamente lasciare il ruolo di insegnante per non aver preso la tessera del Partito Fascista, necessaria per svolgere la professione. Sospettato di attività antifascista subì percosse.
Organizzò insieme con Carlo Rosselli ed altri tra cui Sandro Pertini, la celebre fuga di Filippo Turati e dello stesso Pertini in Francia. Arrestato insieme con Rosselli a Massa, durante il processo davanti al Tribunale di Savona il suo avvocato, Vittorio Luzzati, lo difese ricordando le tre medaglia d'argento al valor militare|medaglie d'argento conquistate durante la prima guerra mondiale. Parri lo interruppe: «Se considero l'Italia attuale mi vergogno delle mie decorazioni!».Condannato prima dieci mesi di carcere e poi a cinque anni di confino per attività antifascista, venne relegato ad Ustica Lipari e Vallo della Lucania.
Rilasciato nel 1931 fu assunto come impiegato dalla [Edison di Milano, ove dopo poco tempo fu promosso dirigente eposto a capo della sezione economica dell'Ufficio Studi della grande azienda elettrica milanese. Continuò a mantenersi segretamente in contatto con il movimento di Giustizia e Libertà, nato in Francia per opera del Rosselli e di altri il quale prospettava la nascita in Italia di una democrazia sociale.
Alla guida della Resistenza 
Con l'invasione nazista dell'Italia successiva all'armistizio dell'8 settembre, Parri venne indicato dai primi gruppi partigiani che si andavano formando nell'inverno 1943-1944 come il mediatore fra la Resistenza e gli Anglo-Americani. Egli venne scelto per la sua capacità di mediazione tra le varie componenti del Movimento e per la preparazione militare e anche perché le sue idee azioniste e repubblicane non erano troppo di sinistra e quindi non avrebbero impensierito l'America.
Incontrò il capo dei servizi segreti americani, Allen Dulles dopo essere riuscito a oltrepassare il confine svizzero. L'incontro ufficialmente definito come "molto cordiale", sebbene non produsse risultati immediati, pose comunque le basi per il riconoscimento da parte anglo- americana dell'esercito partigiano come forza di Liberazione nazionale.
In seguito, con la costituzione delle prime bande armate, egli divenne il leader del Partito d'Azione nei territori occupati e in seguito lo rappresentò nel Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia. Con la costituzione il 9 giugno 1944 del Comando Generale dei Volontari per la Libertà, una sorta di guida militare dei partigiani, Parri fu nominato vice-comandante, insieme al futuro leader comunista, Luigi Longo e al generale Raffaele Cadorna. Egli assunse il nome di battaglia di Maurizio.
Qualche tempo dopo ([il 2 gennaio 1945) Parri venne casualmente fatto prigioniero dai nazi-fascisti. Condotto a a San vittore dove fu anche duramente percosso, il comandante Maurizio, venne riconosciuto da un agente di polizia italiano all'Hotel Regina sede del comando milanese delle SS; tradotto successivamente nel carcere di Verona, dove aveva sede il Tribunale Speciale della Repubblica Sociale Italiana.
Poche ore dopo il suo arresto era fallito un coraggioso tentativo di liberarlo: una banda dei Gap di Milano, guidato da Edgardo Sogno aveva fatto irruzione nell'Hotel Regina ma la schiacciante superiorità numerica delle SS aveva fatto fallire il colpo, portando anzi all'arresto dello stesso Sogno che venne atrocemente torturato.
Numerose congetture furono aperte sull'arresto di Parri: dopo la guerra si sostenne che era stato favorito dai servizi segreti inglesi per indebolire la componente di sinistra della Resistenza. La maggioranza della storiografia oggi ritiene esattamente invece che quello di Parri fu un arresto fortuito.
Successivamente, quando il generale Wolff, comandante delle SS in Italia, iniziò a condurre trattative segrete con gli Alleati per una ritirata onorevole delle truppe tedesche dal suolo italiano (Operazione Sunrise), gli Americani ,attraverso Alen Dulles, che escogitò il piano, chiesero come prova di "buona volontà" la scarcerazione immediata di Parri e del maggiore degli alpini Antonio Usmiani. Parri e Usmiani i primi giorni di marzo del 1945, furono immediatamente liberati e condotti con un in Svizzera. Allen Dulles incontrò i due ex prigionieri a Zurigo e Parri, con coraggio, dichiarò di voler rientrare al più presto in Italia per riprendere la lotta partigiana.
Di lì a qualche mese, il 25 aprile finiva almeno in Italia la Seconda guerra mondiale; tuttavia gli Alleati mantennero sotto la loro amministrazione tutto il Settentrione ritenendo che unificare il Paese poteva provocare il rischio di una guerra civile. Il CLN si adeguò alle disposizioni alleate prendendo in giurisdizione tutto il Centro-Sud mentre al Nord continuava ad operare il CLNAI. Parri rientrato finalmente a Milano fu confermato come rappresentante del Partito d'Azione. Sebbene favorevole alla condanna a morte di Mussolini, definì una "macelleria messicana" l'oltraggio riservato a Piazzale Loreto al corpo di Benito Mussolini, della Petacci e degli altri fucilati a Dongo. Come ex capo partigiano, disapprovò le azioni delle bande, soprattutto comuniste, che si dedicavano alla "vendetta", uccidendo ex fascisti.
Parri presidente del Consiglio 
Intanto si era sciolto, su pressione della sinistra, il secondo governo Bonomi. I colloqui svoltosi fra Roma e Milano fra maggio e giugno fra le sei principali forze politiche del momento (Democrazia Cristiana; Partito Comunista Italiano; Partito Socialista Italiano; Partito Liberale Italiano; Partito d'Azione; Democrazia del Lavoro) portarono dopo l'affossamento dei nomi di Ivanoe Bonomi, di Pietro Nenni e di Alcide De Gasperi alla scelta di Ferruccio Parri.
Il nome di Parri fu proposto da Leo Valiani affiancato dal socialista Rodolfo Morandi come una personalità intermedia fra le forze di sinistra e quelle centriste presenti nel CNL. Nel nuovo governo egli assunse ad interim anche il Ministero dell'Interno.
Secondo un efficace ritratto che ne fece Indro Montanelli Parri, appena insediatosi volle «conoscere tutte le pratiche di cui si stava occupando il governo» venendone talmente sommerso da non uscire più dal suo ufficio per giorni e giorni, mangiando soltanto pane e salame e dormendo su una branda da campo al Viminale.
Il suo governo, seppur lacerato dagli scontri fra l'estrema sinistra e i liberali, riuscì a varare i primi timidi provvedimenti economici per far uscire il paese dalla situazione post-bellica: il risarcimento pagato in dollari dagli Stati Uniti per le truppe d'occupazione permise il risanamento delle infrastrutture. La linea perseguita in questo senso dai ministri delle Finanze Marcello Soleri, che morì durante l'incarico, e Epicarmo Corbino creò, secondo alcuni, le condizioni per il "miracolo economico" degli anni cinquanta e sessanta.
Poco dopo fu varata da Parri la Consulta Nazionale: una sorta di Parlamento scelto dai vari partiti in attesa di libere elezioni.
Fu tra i primissimi politici a denunciare l'esistenza della mafia nell'Italia meridionale e a proporre una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata. Spedì al confino il secessionista Finocchiaro Aprile. Le iniziative di Parri non ebbero seguito, ma anzi furono lasciate cedere dai successori.
In politica estera dovette seguire il delicato tema delle trattative di pace: l'Italia era considerata un paese sconfitto e "provocatore della guerra". Per questo venne esclusa dalla Conferenza di San Francisco dove Parri e De Gasperi, [[ministero degli Esteri|ministro degli Esteri tentarono di partecipare. Fu totalmente vano il tentativo di far entrare l'Italia nel novero dei paesi alleati con la dichiarazione di guerra all'ormai sconfitto Giappone. Anche alla successiva Conferenza di Potsdam] dove doveva essere decisa la sorte di Trieste e dell'Istria, l'Italia fu esclusa per un veto esplicito posto da Churchill. A Potsdam la questione giuliana non fu discussa e in un comunicato venne riconosciuto all'Italia di essere stato il primo Paese a rompere l'alleanza con la Germania.
Poco dopo in seguito ad una serie di visite all'estero di De Gasperi, si era giunti a convocare un nuovo tavolo di trattative, con la partecipazione di Italia e Iugoslavia sulla questione giuliana e sulle colonie italiane (Africa Orientale; Libia e Grecia). Parri espresse una posizione nettamente solidale con De Gasperi, contestato dai comunisti di Togliatti vicini invece a Tito. Contemporaneamente alcune sue dichiarazioni di sostegno alle tesi repubblicane, gli alienarono il consenso dei liberali che guidarono una campagna contro di lui. Benedetto Croce esprimendo il malcontento moderato definì "un forte distacco fra Paese reale e il governo". Contro il governo si accanì anche il movimento dell'Uomo Qualunque fondato in quel periodo da Guglielmo Giannini.
Il 22 novembre la crisi esplose definitivamente: i ministri liberali rassegnarono le dimissioni seguiti dai democristiani. Il PCI eil PSI non lo sostennero e anche il suo partito non ebbe la forza di contrastare la crisi ormai irreversibile. Il 24, Parri lasciò la presidenza del Consiglio. Convocò i giornalisti al Viminale e si definì vittima di un colpo di Stato; poi presentò polemicamente le dimissioni al CLN e non al luogotenente Umberto di Savoia come prevedeva la legge. Poco dopo nell'ultimo consiglio dei ministri fu convinto da De Gasperi a rettificare le sue dimissioni e a scusarsi per la sua espressione su un presunto golpe. Quindi si recò al Quirinale per dimettersi come voleva la prassi.
Negli anni successivi 
Parri negli anni settanta
Acclamato all'unanimità segretario del Partito d'Azione nel dicembre del 1945, guidò il partito al congresso del febbraio 1946 dove lo scontro fra le due correnti dette "radicali" e "socialisti" portò all'uscita di Ugo La Malfa e un deciso spostamento a sinistra del Partito. Parri fu confermato segretario, in quanto unica personalità in grado di mantenere unita la galassia azionista. Alle successive elezioni del 2 giugno, fu eletto deputato all'Assemblea Costituente ma il crollo del suo partito fu tale che preferì sciogliere il PdA aderendo qualche mese dopo, con la corrente detta "Concentrazione Democratica" al Partito Repubblicano Italiano. Venne rieletto in Piemonte alla Camera nel 1948 e votò la fiducia ai governi centristi guidati da Alcide De Gasperi.
Nel 1953 abbandonò il Pri in disaccordo con la nuova legge elettorale, la legge truffa, e diede vita con Piero Calamandrei al movimento di Unità Popolare. Unità Popolare ottenne appena lo 0,6% ma sarà decisivo nel far mancare alla coalizione vincente il quorum per ottenere il premio di maggioranza.
Pochi mesi prima, il 17 maggio, I Meridiani d'Italia, un giornale di destra, pubblicò un articolo titolato «Prove clamorose: Parri tradì i partigiani».
Parri decise di portare il giornale in tribunale ma il processo non finì mai perché cadde tutto in prescrizione. Fu un processo all'epoca molto seguito: a favore di Parri testimoniarono importanti politici del periodo come il comunista Luigi Longo e il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini. Pertini ricordò ai giudici come i capi partigiani avessero temuto per la vita del "comandante Maurizio". Uno dei suoi carcerieri riferì che Parri fu duramente percosso dai fascisti mentre lo trascinavano al carcere.
Fu per Parri un duro colpo: una volta confidò a Enzo Biagi che «Non basta vivere pulitamente per essere puliti. Per i miei avversari avrei dovuto morire durante la Resistenza; lo pensavo anch'io ma non è colpa mia se è andata così».
Fondo con altri resistenti nel 1949 la FIAP- Federazione Italiana Associazioni Partigiane, per evitare l'insorgente egemonizzazione della Resistenza da parte del Partito Comunista.
Fondamentale il suo contributo per la nascista dell'Istituto Nazionale per la Soria del Movimento di Liberazione in Italia (INSMLI).
Nel 1957 in vista delle imminenti elezioni politiche dell'anno successivo, Parri si candidò come indipendente nelle liste del PSI risultando eletto al Senato dove costituì il gruppo della Sinistra Indipendente. Contestò aspramente il governo Tambroni (che godeva dell'appoggio esterno del MSI) e i metodi impiegati per reprimere le proteste popolari di Genova e Reggio Emilia.
Nel 1963 il presidente della Repubblica Antonio Segni lo nominò senatore a vita. Rimase all'interno della Sinistra Indipendente, di cui fu il presidente per molti anni, mantenendosi all'opposizione dei vari governi di centrosinistra che guidarono l'Italia negli anni sessanta e settanta. La Sinistra indipendente si caratterizzo per esser un gruppo aperto a personalità provienti dalla Resistenza ma di diversa estrazione politica, religiosa e sociale, in posizione di alleanza critica in particolare con Il PCI.
Fondò e diresse, in quegli anni, il periodico l'Astrolabio, tribuna da cui condusse campagne per la realizzazione di una maggiormente compiuta democrazia e di denuncia del risorgente neo-fascismo.
Considerato uno dei padri della patria, morì a novantuno anni nel Dicembre1981. Riposa nel cimitero monumentale di Staglieno a [[Genova],] a pochi metri dalla tomba di Giuseppe Mazzini.
Onorificenze 
Medaglia d'argento al valor militare
Curiosità 
Parri richiesto dal comando supremo scrisse il famoso bollettino della Vittoria firmato dal M.llo d'Italia Diaz.
A Parri viene attribuita l'espressione "macelleria messicana". Egli la utilizzò il 29 aprile 1945, esprimendo la ripugnanza di fronte ai macabri fatti di Piazzale Loreto, dove i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci ed altri gerarchi fascisti furono appesi per i piedi alla tettoia di una pompa di benzina al pubblico ludibrio.
Quando si insediò per il secondo governo dell'era post-fascista, il suo volto era totalmente sconosciuto e, al suo arrivo a Roma in treno, notando una calca di giornalisti chiese ad uno di essi cosa stava accadendo. La risposta del cronista fu «Non ci disturbi, siamo attendendo il presidente del consiglio», pertanto Parri riuscì a raggiungere il Viminale in tranquillità e nel completo anonimato.
È l'ultimo Presidente del Consiglio della storia d'Italia ad aver ufficialmente dichiarato guerra ad un altro stato: ciò accadde il 14 luglio del 1945, quando il suo governo dichiarò aperte le ostilità contro l'Impero Giapponese[1], come già accennato sopra.
L'episodio delle dimissioni da Presidente del Consiglio è raccontato da Carlo Levi nell'"Orologio".
Il famoso giornalista Tiziano Terzani cominciò la propria attività, tra l'altro, con un incarico affidatolgli da Parri per l'Astrolabio come racconta nel suo ultimo libro "La fine è il mio inizio".
Ferruccio Parri fu anche attore, interpretando se stesso nel film Il caso Mattei.

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